L’AGNELLINA

 XIIIa Domenica T.O. (Anno B)


Mi ricordo di aver letto su un libro di Antonio Socci che traduceva il “Talità Kum” del Vangelo di Marco in “agnellina alzati”. La traduzione dall’aramaico, la lingua che anche Gesù parlava, invece riporta:“… prese la mano della bambina e le disse: “Talità Kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: alzati!” (dal Vangelo di Marco)
Devo dire che mi piace tantissimo quanto riportato da Socci, perché l’immagine di Gesù che rivolge una simile espressione ad una bambina mi commuove per la sua tenerezza e rimanda alla figura del Buon Pastore, iconograficamente raffigurante Gesù con sulle spalle la pecorella. In questo caso, invece, dopo aver preso la mano della bambina, facile immaginare con quale delicatezza, se la porta al petto, al suo cuore grande e premuroso. D’altronde, già Isaia lo presenta (40,11) come colui che porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri. La sua attenzione per i più piccoli è speciale ed è particolarmente esigente nel raccomandarne la protezione. Guai a scandalizzare uno solo dei suoi piccoli. Questi devono nascere, godere della presenza della madre, del padre, crescere in armonia, devono poter vivere perché:“… Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.” (dal Libro della Sapienza)
Se Dio non ha creato la morte, a maggior ragione non può perseguirla l’uomo. Ed invece, vediamo bene come l’uomo dà morte agli innocenti nel grembo delle loro madri. Non è così che si conducono le madri, che le si aiutano. In questo modo si provocano solo rovine. Un mondo che non riconosce e non sostiene la maternità è un mondo destinato alla rovina, un mondo che non vi scorge il disegno di Dio sull’uomo, è un mondo che costruisce solo città come Sodoma e Gomorra. Sappiamo come andò a finire. L’assurdo è che per arrivare a questi obbiettivi si alzano tanti maestri intorno a noi! Un sacco di proposte, che in realtà ci vogliono imporre. Tutti e tutte che promettono benessere, pace, guarigioni. E ben vediamo come siamo conciati. Sappiamo, però, che se ritornassimo sui nostri passi: “… la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita. Alla sera ospite è il pianto e al mattino la gioia.” (dal Salmo 29)
Allora, la vita vale sempre la pena, anche per tutto l’inaspettato che ci concede. La fede è anche saper avere fede nell’imprevisto come è successo a quella donna con le perdite di sangue che fece di tutto per toccare anche solo un lembo del mantello di Gesù. Lei non sapeva quale vantaggio ne avrebbe ricevuto, lei aveva solo bisogno d’incontrare Gesù. Così dovrebbe essere per ciascuno di noi, non sappiamo cosa sviluppa il nostro essere cristiani, ma sappiamo che dobbiamo fare come suggerisce San Paolo nella sua Lettera ai Corinti:“… come siete ricchi in ogni cosa … così siate larghi anche in questa opera generosa”.
Come è ben chiaro, la condivisione è un atto, quindi, tipicamente cristiano, perché dei frutti che produce non ne sapremo mai abbastanza. Sappiamo, però, che i nostri tesori vanno deposti in cielo. Le nostre perle non possiamo lasciarle ai porci, le nostre gemme vanno poste nel forziere che sta in cielo. Quelle gemme sono splendenti dei colori dell’amore: generosità, benevolenza, comprensione, umiltà. Bisogna accumularne tante. E’ la nostra fatica quotidiana, oggi, in questa vita che ci è stata donata per guadagnarci la vita eterna, perché anche noi, per Gesù, siamo suoi agnellini.
Sap 1,13-15;2,23-24 / Sal 29 / 2Cor 8,7-9-13-15 / Mc 5,21-43
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