VEGLIATE TUTTI

Prima Domenica di Avvento (Anno B)          
A te, Signore, innalzo l’anima mia

Un grande scrittore, Victor Hugo, scriveva che il teatro non rappresenta il paese della realtà. Tutto è finto, fondali di cartone, palazzi di tela, cielo di cartapesta, trucchi nei movimenti. E’,però,  il paese del vero perché ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco. Pensandoci bene, è così, per similitudine, anche quando ci si mette davanti al presepe. E’ tutto finto, le statuine, il muschio, le montagne, i cieli. Eppure, è tutto vero perché chi l’ha realizzato aveva un cuore intriso di attesa, chi lo guarda ha un cuore aperto alla speranza. Sono persone che, solo per il fatto di stare davanti a quella rappresentazione, sono piene di gioia e sono fortunate perché:
“…tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie.” (dal Libro del profeta Isaia) 
Essere pieni di gioia non vuol dire, infatti, essere come dei beoti, significa capire, finalmente, o intuire, che per iniziare un cammino che porti all’incontro con Dio occorre ricercare la giustizia, che riconosce il diritto e la dignità di ogni persona, a cominciare da quella più indifesa, come quella del bambino che fra qualche settimana contempleremo nelle nostre celebrazioni liturgiche e nei nostri presepi. E non solo perché ogni neonato attira tenerezza e bontà, lui, infatti, è il medesimo che poco prima stava nel ventre di sua madre. Ogni mamma in attesa, ogni bimbo in attesa di nascere sono degni di protezione.

 

Una volta ho suddiviso il presepe in tre scene: l’Annunciazione, il cammino di Giuseppe e Maria per andare a Betlemme, e la nascita nella grotta. Da tempo, ormai, nel mio presepe ha preso fissa dimora la statuina della donna incinta, proprio per ricordare questa verità che tutti devono rispettare. Chi non lo fa è come se stesse lavorando in quella vigna ormai abbandonata, dove pascolano cinghiali, percorsa da lupi e in cui nessun fico e nessun vitigno produce più frutto. Ma davanti alla grotta si recheranno pastori e contadini, motivo per cui è più che giustificata la preghiera del salmo:
“…guarda dal cielo e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato.” (dal Salmo 79)
Ecco, in questa desolazione in cui ci aggiriamo, un poco confusi e disorientati, teniamo comunque fisso il nostro sguardo, in questa veglia di quattro settimane coscienti che:
“…in Lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.” (dalla prima lettera di San Paolo ai Corinti)
Rendiamoci, cioè, conto che questi doni sono alla nostra portata, forse non tutti noi riusciremo a capirne la grandezza, ma ognuno, con il proprio carisma, potrà metterli a disposizione della comunità. La Parola è il dono in assoluto più importante, ascoltiamola tutti i giorni, anche se a volte ci riesce ostica, non importa, lasciamo che lo Spirito lavori per noi. Al limite, senza remore, cerchiamo il sacerdote, il fratello, la sorella, che ci aiuti nella ricerca della vera conoscenza. Cerchiamo la luce. Platone scriveva che si può perdonare il bambino che ha paura del buio, ma la vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce. Perciò: “…quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (dal Vangelo secondo Marco)
Perché se è vero che l’uomo è in costante attesa: quando è bambino vuole crescere, da adulto tende alla realizzazione delle sue aspirazioni, avanzando nell’età guarda al meritato riposo, è vero pure che l’attesa non è spasmodico consumo di tempo, bensì, soprattutto in questo nostro tempo di inizio anno liturgico, attesa come quella del “portiere”. Per non lasciare entrare nel suo, nel nostro, cuore ciò che allontana dalla via che porta all’incontro con Gesù.

Is 63,16b-17.19b;64,3-7 /Sal 79(80) / 1Cor 1,3-9 / Mc13,33-37
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