DIO E’ AMORE

Domenica XXIVma T.O.  (Anno A)


Sulla mia Bibbia il salmo 102 è intitolato “Dio è Amore”, ben marcato in rosso. E’ la verità che proclamiamo da sempre nella Chiesa a beneficio nostro e di quanti s’interrogano dubbiosi su questo nostro modo di credere in un “Dio che non si vede”. E’ la principale obiezione che puntualmente viene posta. La teologia sa rispondere, la carità è implicita nella risposta, la fede vissuta è la migliore prova di quanto annunciato. Basta vedere il volto di mia nonna che sfaccenda in cucina, che trova il tempo per il quotidiano rosario, che non si dimentica di un saluto passando davanti alla nostra parrocchiale. Basta sentire il pianto di un bimbo appena nato, intervallato dalla nenia sussurrante di sua madre. Basta guardare al mio vecchio parroco che, tonaca ancora svolazzante, non si stanca di andare di casa in casa a ricordare che Gesù Cristo è il figlio di Dio e nostro fratello. Così si capisce che Dio, il Padre nostro, è Amore. Allora, comprendo perché quel salmo dice:
“…benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici.” L’espressione “anima mia” è poetica, musicabile, ma non indica un qualcosa o un qualcuno estraneo da sé stessi, esprime la compiutezza del proprio essere, nel quotidiano esistere, fatto di comportamenti, gestualità che determinano il rapporto che si vuole instaurare con il Buon Dio. Per questo ci viene in soccorso la Parola:
“…ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e non dimentica gli errori altrui.” (dal Libro del Siracide).
Non sono imposizioni, bensì semplici linee guida per essere coerenti con il progetto che è inscritto nel nostro Dna fin dal nostro concepimento, fin dal nostro inizio. Notare, inoltre, la preoccupazione circa coloro che ci stanno attorno: non odiare, ma, guarda caso, amare e, soprattutto perdonare. E qui entra in ballo il buon Pietro quando chiede a Gesù quante volte deve perdonare. La risposta la conosciamo, corredata dalla parabola del Padrone e dei suoi servi, che poi saremmo noi:
“…il Padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito…il Padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito il dovuto.” (dal Vangelo secondo Matteo).
Io sono il servo che non è capace di ben corrispondere all’Amore, sostanzialmente sono a mani vuote e chiedo di avere pazienza che prima o poi ce la farò e il Padrone decide di aspettare. Comincio a capire perché è Amore. Ma se lo prendo in giro, a parole rispetto i suoi precetti e poi faccio tutto il contrario, allora il risultato sarà solamente pianto e stridore di denti, in mano agli aguzzini. Mi dà, però, un’ultima possibilità: restituirgli il dovuto, cioè rendergli la vita donata perché sarà così che potrò ritrovarla. Allora, bisogna ritrovare il coraggio di vivere appieno i nostri giorni, con le nostre fragilità, i nostri limiti, le nostre paure, i nostri timidi sorrisi, il nostro “sì” alla vita, ogni vita, che merita di essere vissuta ogni istante, come un meraviglioso viaggio, qualunque cosa accada. In questo modo scopriamo di essere immersi nell’Amore perché:
“…se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore” (dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani).
E’ quanto ci basta come prospettiva, sapendo che quel Padrone del Vangelo è lo stesso Dio Amore del Salmo, ma soprattutto è il Dio dei viventi.

Sir 27,30-28.7 / Sal 102(103) / Rm 14,7-9 / Mt 18,21-35

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