LA COMPASSIONE DEL PADRE


XXIV Domenica T.O. ( Anno C)
In questi giorni si parla molto di un possibile scisma nella Chiesa. C’è chi non ne ha paura, ma ci si dovrebbe invece preoccupare di evitarlo andando a disinnescare le cause che potrebbero provocarlo. La Parola di questa domenica del Tempo Ordinario ci propone l’ascolto della parabola del “figlio prodigo”, quel figlio che prende e se ne va alla ricerca della sua identità, certo utilizzando la prodigalità del padre, ma pur sempre con l’ansia di inventarsi una vita tutta sua. Se sostituissimo la figura del giovane figlio con chi sta operando per uno scisma vedremmo con sgomento quanto ancora una volta sia fraintesa la volontà divina: “che siano una cosa sola”. Perché non è detto che chi rimane sia pienamente coerente con il piano di salvezza che la Chiesa ha ricevuto come mandato: “…il Signore disse inoltre a Mosè: “ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. (dal Libro dell’Esodo).

Come non riconoscere questa verità che si rinnova nei secoli, nella storia di questo “popolo in cammino” che, puntualmente, abbandona la retta via per addentrarsi in labirinti dove le sirene del mondo attraggono con promesse di felicità e di liberazione dalle Leggi di Dio. Infatti, questo mondo continua a darsi leggi che innalzano l’uomo, come fosse lui stesso un dio che si auto giustifica e pone tutto sotto il suo dominio: sulla vita, decide chi deve nascere e chi deve morire; la sessualità non deve più esistere secondo gli schemi tradizionali, come neppure la famiglia; la libertà è in funzione dell’asservimento ai programmi economici; la religione deve essere al servizio del potere, una religione mondiale senza più il Dio Trinitario. In questi meandri una Chiesa che non è più baluardo non serve più. Occorre, invece, ritornare, almeno noi che crediamo in Gesù Cristo, a sperare in Lui, confidare in Lui perché si ritrovi la gioia di proclamare la nostra fede. “L’ultima opera di misericordia è la gioia. E’ frutto della misericordia, ma è anche un’opera, perché il mondo è sempre più pesante e la gioia, nel mondo, è sempre più fragile.” (Anne Lecu).
Questo per dire che la vera gioia è in Gesù stesso: “…rendimi la gioia della tua salvezza … Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a Te ritorneranno.” (dal Salmo).
Quindi, con la gioia che viviamo, sotto il segno della salvezza, possiamo ritrovare quell’unità tanto auspicata nella Chiesa, al punto che di scissioni mai più si parlerà perché ribelli e peccatori ritorneranno come tanti figliol prodigo da fuori e da dentro la casa del Padre. In questa speranza la Parola di Paolo a Timoteo cade a fagiolo: “…rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia, mettendo al suo servizio me che prima ero…”.
Davvero dobbiamo rendere grazie a Gesù Cristo che con i suoi Sacramenti ha fornito anche a noi la base per metterci al suo servizio: chi, solo in forza del Battesimo, chi con la Cresima che offre la spada del combattente, chi con il Matrimonio che si rifà alla Famiglia di Nazaret, chi con l’Ordine che si fa “porta” della Chiesa, che già da lontano vede il peccatore che torna e gli corre incontro per abbracciarlo e fare festa insieme al Padre perché: “…Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che…vi è gioia davanti agli Angeli di Dio…Quando era ancora lontano, suo Padre lo vide, ebbe compassione…” (dal Vangelo di Luca).
Ecco, in quella compassione, preludio all’abbraccio della Santa Madre Chiesa, vi è tutta la missione dei discepoli di Cristo. Che nessuno si perda; che nessuno sia lasciato indietro, nell’ignoranza dell’Annuncio; che questo nostro benedetto “popolo in cammino”, guidato da veri pastori, si lasci dolcemente amare da chi lo ha tanto amato da donare il suo stesso Figlio.
Es 32,7-11.13-14 / Sal 50(51) / 1Tm 1,12-17 / Lc 15,1-32

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