Quarta Domenica di Quaresima (Anno C)
Il Padre della famosa parabola del figliol
prodigo, com’era detta una volta, riconosce ai suoi figli il diritto alla
libertà e non solo a parole, ma nei fatti. Un uomo così ricco e sicuro di sé
non avrebbe avuto alcuna difficoltà ad incaricare un suo servo di seguire passo
passo il figlio scapestrato, tanto più che ben sapeva della supponenza del
figlio minore. Per amore, viene da dire, avrebbe dovuto fare così, se non altro,
per proteggerlo, ma era giusto che cominciasse a camminare con le sue gambe. Un
po' come per il popolo d’Israele, come ci viene raccontato nel Libro di Giosuè:
“…e a partire dal giorno seguente, come
ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò.”
Cioè, era ora che gli eletti cominciassero ad
assumersi le loro responsabilità: potevano contare sulla benevolenza del
Signore, ma giunge un momento in cui ciascuno deve poter corrispondere con la
sua vita a quanto di buono ha ricevuto per grazia e per amore. Lo si può fare
con umiltà e docilità, oppure, come fece il figlio della parabola, con
autosufficienza e baldanza. Si può solo immaginare il tremore con cui il Padre
vede allontanarsi quel figlio prediletto. Succede ogni volta che un ragazzo,
appena dopo la Cresima, se ne va e non lo vedi più se non per qualche funerale
o, se va bene, per il matrimonio.
Si direbbe, però, che almeno è rimasto quel
fratello maggiore, quello che potremmo ritenere un giusto. Sappiamo bene, però,
che non è sempre così perché anche nel giusto albergano sentimenti rancorosi e
lo si capisce bene nello sviluppo del racconto evangelico. Per questo ancora
una volta c’è bisogno del Buon Dio:
“…molti sono i mali del giusto, ma da tutti
lo libera il Signore. Custodisce tutte le sue ossa: neppure uno sarà spezzato.”
(dal Salmo)
Il Padre libera, infatti, anche il fratello
maggiore, gli fa capire che ha custodito in toto la sua vita, ha condiviso la
pienezza della sua casa. Non è forse così anche per noi quando, pur mutevoli a
causa del peccato, stiamo comunque, magari indegnamente, presso la Casa del
Padre, nella sua Chiesa, alla fonte della sua Liturgia, dei suoi Sacramenti? E’ così, perché speriamo, perché vorremmo davvero essere
discepoli di Cristo al fine di diventare persone nuove, come dice San Paolo:
“…tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova
creatura: le cose vecchie sono passate; ecco ne sono nate di nuove.” (dalla
seconda lettera ai Corinti)
Pure il figliol prodigo, ad un certo punto,
capisce di aver sbagliato, sente la nostalgia di Casa, vorrebbe presentarsi al
Padre come una persona nuova. Ha vergogna, sa di non meritare misericordia, ma,
evidentemente, ancora non sa di cosa è capace suo Padre:
“…quando era ancora lontano, suo Padre lo
vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.”
(dal Vangelo di Luca)
Proviamo ad immaginare la scena, ma
soprattutto proviamo a capire come il cuore di quel povero ragazzo può aver
reagito di fronte ai gesti del Padre.
Matilde di Magdeburgo l’ha inquadrata in
questo modo:
“Quando la povera anima giunge a corte,
allora è saggia e affabile, così guarda il suo Dio con gioia. Ah, con quanto
amore viene accolta. Egli le mostra con grande desiderio il suo cuore divino.”
Questa è la potenza della misericordia, quando
accorda, per amore e solo per amore, la libertà di andare lontano, nelle
miserie del mondo, affinché, nella libertà si comprenda che non basta
riavvicinarsi, ma per fortuna, invero per amore, c’è chi continuamente guarda
all’orizzonte, e per compassione, è subito pronto a correrti incontro, a non
condannarti, ma ad abbracciarti ed a baciarti. Ed è festa.
Si capisce, allora, perché nella conversione
esplode la gioia.
Gs 5,9a.10-12 / Sal 33(34) / 2Cor 5,17-21 / Lc
15,1-3.11-32
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