Sesta Domenica T.O.(Anno C)
Mi piace andare a vedere vecchi film in bianco e nero dove,
non di rado, vi è la classica scena del parroco che dall’alto del pulpito
sferza i fedeli presenti con una sfilza di improperi conditi dal “Guai a voi…”
di evangelica memoria:
“…guai a voi (ripetuto 4 volte) ricchi…che ora siete
sazi…che ora ridete…quando tutti gli uomini diranno bene di voi…”.
Basta immaginarsi la grinta di un Don Camillo per farsene
un’idea.
Succede anche oggi, può essere un mantra, di sentirsi dire
tutto il male del mondo, ma in fin dei conti i soggetti accusati sono quelli
che in chiesa non ci sono. A quelli presenti bisognerebbe, invece, decantare il Salmo:“…Beato l’uomo che…nella legge del Signore trova la sua
gioia, la sua legge medita giorno e notte. E’ come un albero piantato lungo
corsi d’acqua.”
A dire il vero non so quanti di costoro meditano ogni giorno
la Parola del Signore, eppure nel panorama odierno già il professarsi cristiano
è sufficiente per ergersi come, appunto, un albero su una brulla distesa di
arbusti.
E’ una metafora che ben inquadra la condizione di quegli
uomini che, come arbusti, stanno ripiegati, incapaci di alzare il proprio
orizzonte perché:
“…Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e pone nella carne
il suo sostegno, allontanando il suo cuore dal Signore.” (dal Libro del profeta
Geremia).
Una maledizione che si estende a macchia d’olio, che
travolge tutto e tutti in una violenza che distrugge la vita di chi è usato
solo per piacere o per profitto e disprezzato quando non rientra in questi
parametri. Le ultime notizie di cronaca che vedono neonati o bambini piccoli
vittime di barbarie come mai si era visto, dimostrano che un mondo che uccide i
suoi figli nel grembo delle loro madri è un mondo maledetto. Tanto più che
anche tanti, troppi, cristiani sono attivamente impegnati a nutrire quel mondo,
ma:
“…Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per
questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.” (dalla prima Lettera
di San Paolo ai Corinti)
C’è da domandarsi se quell’ammonizione di San Paolo non
fotografi nel suo insieme la condizione in cui si viene a trovare una buona
fetta della chiesa oggi.
Per tornare a quella figura del sacerdote sul pulpito,
quanto sarebbe bello, però, sentirlo anche e soprattutto richiamare il Vangelo:
“…Beati (4 volte) voi…poveri…che ora avete fame…che ora
piangete…quando gli uomini vi odieranno…Rallegratevi in quel giorno ed esultate
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.” (dal Vangelo di Luca)
Il sermone avrebbe anche potuto proseguire secondo gli umori
del prete, ma l’imperturbabilità dei fedeli sarebbe comunque rimasta proprio
nel profondo, perché radicata nel profondo dell’anima,
gioia come conseguenza di quel “rallegratevi”.
Se lo dice Gesù Cristo ci sarà pure un motivo. Non è e non
sarà da ricercarsi nelle cose di quaggiù.
L’aspirazione di guardare alle cose di lassù ci mette nelle
condizioni di essere come un albero alto e maestoso agli occhi di chi ha
bisogno di districarsi dagli arbusti.
In fondo non sono i grandi uomini che migliorano l’umanità,
ma quegli uomini che migliorando sé stessi, con la Grazia del Battesimo,
risanano le ferite di un mondo in caduta libera.
Ger 17,5-8 / Sal 1 / 1Cor 15,12.16-20 / Lc 6,17.20-26
digiemme