Epifania del
Signore
Conosciamo bene la storia della stella
cometa, che apparsa ai re magi a tempo debito, permette loro di arrivare al
cospetto del Re dei re, così come ci viene narrato dai Vangeli. E’ una stella
importante e giustamente viene messa in rilievo anche nei presepi e nei
racconti favolistici che ci offrono quell’alone di mistero e di magia che tanto
affascinano la nostra fantasia. C’è invece una stella, ancora più lucente, che
brilla in eterno per indicare la vera strada a tutti gli uomini, soprattutto i
più bisognosi:
“…perché egli libererà il misero che invoca e
il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la
vita dei miseri. (dal Salmo 71)
Questa stella si manifesta su una culla di
paglia, nelle sembianze di un neonato, ed attira a sé proprio i più miseri fra
gli uomini, quelli che non si vantano delle proprie ricchezze e del proprio
potere, quelli che non bestemmiano il cielo per la loro condizione di vita, quelli,
insomma che sanno mettersi in viaggio, si direbbe oggi, in gioco,
indipendentemente dal luogo di partenza. Sono miseri perché si fidano, come i
pastori, sono miseri perché offrono ciò che hanno, come i Re Magi, sono miseri
perché sanno rispondere alla chiamata:
“…le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a
condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo ed ad essere partecipi
della stessa promessa per mezzo del Vangelo.” (dalla Lettera agli Efesini)
E’ la promessa che si concretizza nel fondamento
della Chiesa, costituita da Gesù Cristo stesso sulla roccia di un misero
pescatore. Per questo non è possibile alcuna speculazione sociologica
sull’impatto che la Buona Novella dei Vangeli ha avuto e avrà sulla vita delle
civiltà. Non ha portato alcuna rivoluzione, se non un modo diverso di
rapportarsi con Dio perché chiamati, tutti indistintamente, da Lui stesso:
“…alza gli occhi intorno e guarda: tutti
costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue
figlie sono portate in braccio.” (dal Libro del Profeta Isaia)
Anche noi ci raduniamo ogni domenica attorno
al sacerdote per partecipare del Sacrificio che solo lui, il sacerdote, l’alter
Cristus, può celebrare per il merito del Figlio di Dio. Anche noi veniamo da
lontano e non guardiamo alle vesti che portiamo, siamo solo preoccupati di
portare con noi i più deboli, i più indifesi fra di noi, li portiamo in
braccio, li portiamo nei nostri grembi. Se solo giustificassimo anche una sola
dimenticanza, anche solo un abbandono, un rifiuto, il peccato conseguente ci
cancellerebbe da quella adunanza. Potremo anche essere presenti fisicamente ma
è come se non ci fossimo. Non potremmo contemplare la sua
gloria perché saremmo come Erode:
“…e quando lo avrete trovato, fatemelo
sapere, perché anch’io venga ad adorarlo.” (dal Vangelo di Matteo) Sappiamo
quale era la sua intenzione, sappiamo bene quali sono le prospettive di chi si
presenta all’adunanza e non sa inginocchiarsi:
“…entrati nella casa, videro il bambino con
Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e
gli offrirono…” (dal Vangelo di Matteo)
Chi non sa inginocchiarsi davanti al
Santissimo e non lo adora, oltre che con le parole anche con il corpo, non è
misero, non è capace di offrire il suo cuore, al limite solo la sua
magnificenza che al Buon Dio proprio non serve.
Gesù, nelle sembianze di quel Bambinello,
chiede, invece, di guardare a Lui per conoscere il Padre, di stringere le sue
manine per non abbandonare alcuna mano che si protende verso le tue, di
sorridere alla vita perché attraverso la nostra vita arriveremo alla sua eterna
presenza. Per questo il dono che anche noi possiamo deporre ai piedi della sua
culla, oggi in questo giorno della sua manifestazione, tratto dallo scrigno che
è il nostro cuore, non può che essere, semplicemente, la nostra stessa misera vita.
Is 60,1-6 / Sal 71(72) / Ef 3,2-3a.5-6 / Mt 2,1-12
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