XXV Domenica T.O. (Anno B)
Si discute, gente, si discute su tutto, di
tutto. A volte sui canali radio-tv si discute contemporaneamente di politica,
di religione, di spettacolo, di sport, di filosofia, di morale, di economia, di
animali, di scienza, di diritti, di doveri, di pace, di razzismo, di scuola e
si addiviene a che cosa?? Che la sapienza ne rimane comunque esclusa ed
estranea e la verità ricondotta a mera tesi di supporto per i propri interessi
che non sempre coincidono con la giustizia. In ogni caso si esclude che Dio
possa avere un ruolo e se qualcuno lo chiama a testimonianza per la
giustificazione della propria vita, subito ne viene deriso, quando va bene, se
non addirittura osteggiato:
“…tendiamo insidie al giusto…mettiamolo alla
prova con violenze e tormenti…condanniamolo a una morte infamante, perché
secondo le sue parole, il soccorso gli verrà.” (dal Libro della Sapienza)
E’ ciò che è successo, per esempio, poche
sere fa in una trasmissione televisiva, quando l’intervenuta Silvana De Mari ha
tentato di spiegare il concetto di libertà, urtando le ipocrite posizioni degli
altri ospiti e del conduttore su temi come la pedofilia e
relativa cultura gender. Apriti cielo e malcelata aggressività nel togliere la
parola. Così va il mondo, ma che ci importa, i credenti hanno la forza che
viene dalla preghiera: “…Dio per il tuo nome salvami, per la tua
potenza rendimi giustizia. Dio ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle
parole della mia bocca.” (dal Salmo 53)
Così, che si voglia o meno entrare nell’agone
della discussione pubblicamente, bisogna prepararsi ogni santa mattina, perché
ogni santo giorno siamo chiamati a rendere grazie della speranza che c’è in
noi. Una speranza che si nutre, nella fede, di quella vera sapienza che il Buon
Dio ci dona, come ce lo ricorda l’Apostolo Giacomo: “…invece la sapienza viene dall’alto
anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di
buoni frutti, imparziale e sincera.”
Guardiamo poi come in quella riflessione
dell’Apostolo vi sia un modo di essere che è tipico del buon cristiano. Che non
può mai essere ridotto a concetti culturali tipo “buon pensante”, oppure
“buonista”, come neppure “sovranista” o “populista”. Giusto per intenderci, la
dritta viene direttamente da Gesù:
“…chiese loro: “di che cosa stavate discutendo
per strada?” Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro
chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: “se uno vuole
essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti.” (dal Vangelo
di Marco)
Ritorniamo, quindi, alle considerazioni sul
discutere a vanvera, cui, com’è evidente, non si sottraggono neppure gli
Apostoli. Ora, se è comprensibile ipotizzare che un impegno diretto nel
sociale, nella comunità, nel gruppo, nell’associazione, nella politica, possa
scaturire una conseguente vera leadership, è pure vero che questa ha senso solo
se si mette al servizio, con umiltà, di tutti.
Ponendosi, e qui sta il punto nevralgico del
comando di Gesù Cristo, come ultimo di tutti per voler e poter essere il primo.
Lo straordinario sta nel fatto che “chi accoglie
uno solo di questi bambini”, il più piccolo
“dei miei fratelli”, il bambino, che nel suo Vangelo abbraccia, accoglie Dio.
Ecco perché abbiamo la possibilità di essere “primi” nel Regno dei Cieli, perché
ci viene assegnato il compito di accogliere il bambino più innocente, più
indifeso, il figlio dell’uomo che deve nascere. “Perché chi accoglie uno solo
di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie
me, ma colui che mi ha mandato.”
Sap
2,12.17-20 / Sal 53(54) / Gc 3,16_4,3 / Mc 9,30-37
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