22 settembre 2018

IL PRIMO E L’ULTIMO


XXV Domenica T.O. (Anno B)
Si discute, gente, si discute su tutto, di tutto. A volte sui canali radio-tv si discute contemporaneamente di politica, di religione, di spettacolo, di sport, di filosofia, di morale, di economia, di animali, di scienza, di diritti, di doveri, di pace, di razzismo, di scuola e si addiviene a che cosa?? Che la sapienza ne rimane comunque esclusa ed estranea e la verità ricondotta a mera tesi di supporto per i propri interessi che non sempre coincidono con la giustizia. In ogni caso si esclude che Dio possa avere un ruolo e se qualcuno lo chiama a testimonianza per la giustificazione della propria vita, subito ne viene deriso, quando va bene, se non addirittura osteggiato:
“…tendiamo insidie al giusto…mettiamolo alla prova con violenze e tormenti…condanniamolo a una morte infamante, perché secondo le sue parole, il soccorso gli verrà.” (dal Libro della Sapienza)

E’ ciò che è successo, per esempio, poche sere fa in una trasmissione televisiva, quando l’intervenuta Silvana De Mari ha tentato di spiegare il concetto di libertà, urtando le ipocrite posizioni degli altri ospiti e del conduttore su temi come la pedofilia e relativa cultura gender. Apriti cielo e malcelata aggressività nel togliere la parola. Così va il mondo, ma che ci importa, i credenti hanno la forza che viene dalla preghiera: “…Dio per il tuo nome salvami, per la tua potenza rendimi giustizia. Dio ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.” (dal Salmo 53)
Così, che si voglia o meno entrare nell’agone della discussione pubblicamente, bisogna prepararsi ogni santa mattina, perché ogni santo giorno siamo chiamati a rendere grazie della speranza che c’è in noi. Una speranza che si nutre, nella fede, di quella vera sapienza che il Buon Dio ci dona, come ce lo ricorda l’Apostolo Giacomo: “…invece la sapienza viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera.”
Guardiamo poi come in quella riflessione dell’Apostolo vi sia un modo di essere che è tipico del buon cristiano. Che non può mai essere ridotto a concetti culturali tipo “buon pensante”, oppure “buonista”, come neppure “sovranista” o “populista”. Giusto per intenderci, la dritta viene direttamente da Gesù:
“…chiese loro: “di che cosa stavate discutendo per strada?” Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: “se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti.” (dal Vangelo di Marco)
Ritorniamo, quindi, alle considerazioni sul discutere a vanvera, cui, com’è evidente, non si sottraggono neppure gli Apostoli. Ora, se è comprensibile ipotizzare che un impegno diretto nel sociale, nella comunità, nel gruppo, nell’associazione, nella politica, possa scaturire una conseguente vera leadership, è pure vero che questa ha senso solo se si mette al servizio, con umiltà, di tutti.
Ponendosi, e qui sta il punto nevralgico del comando di Gesù Cristo, come ultimo di tutti per voler e poter essere il primo. Lo straordinario sta nel fatto che “chi accoglie  
uno solo di questi bambini”, il più piccolo “dei miei fratelli”, il bambino, che nel suo Vangelo abbraccia, accoglie Dio. Ecco perché abbiamo la possibilità di essere “primi” nel Regno dei Cieli, perché ci viene assegnato il compito di accogliere il bambino più innocente, più indifeso, il figlio dell’uomo che deve nascere. “Perché chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.”
Sap 2,12.17-20 / Sal 53(54) / Gc 3,16_4,3 / Mc 9,30-37

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