Il
profeta Elia si sentiva esausto, stanco della vita, deluso dai risultati
ottenuti e voleva farla finita, rifugiarsi lontano dai suoi, in un deserto come
se il mondo non fosse altro che un deserto. Se guardo a quegli uomini, a quelle
donne parcheggiate alla fine dei loro anni, se guardo a quelle mamme
abbandonate nelle loro amare gravidanze, posso certificare che il senso di
svuotamento di quelle vite porta al rifiuto di ogni qualsiasi senso da dare
alla vita.
I
suicidi cruenti e tangibili in continuo aumento accentuano quelle condizioni
anche e soprattutto nelle nuove generazioni. Mai come in questi nostri anni si
è riusciti ad estendere l’aridità del deserto, dove le solitudini e gli
abbandoni sono l’humus su cui cresce il vuoto di esistenze senza senso. Eppure
l’Angelo del Signore non manca di accostarsi a ciascuno come si evince
dall’ascolto dal Primo Libro dei Re: “…si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di
quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio,
l’Oreb.”
Si
tratta solo di capire il tempo che ci viene dato. Quei quaranta più quaranta
stanno ad indicarci che in ogni momento
possiamo iniziare a metterci in cammino per giungere alla casa del Padre. In
fondo il monte Oreb è molto più vicino di quanto si possa pensare, l’importante
è: “…ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni paura mi ha liberato.”
(dal Salmo). Non bisogna avere, perciò, paura, bisogna come ogni logica suppone
rompere gli indugi ed accogliere l’esortazione di San Paolo agli Efesini: “…scompaiano
da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di
malignità.”
E’
vero , qui casca l’asino, perché riuscire ad essere coerenti con simile
indirizzo di comportamenti è quasi impossibile. D’altronde anche Gesù
ammonisce: “non mormorate tra di voi”. Ma stiamo bene attenti, ciò non vuole
dire nascondere la verità, additare l’errore, richiamare l’errante, chiedere il
confronto, perdonare e chiedere scusa, usare rispetto, ergersi con umiltà.
Pronti a riprendere in ogni momento il proprio cammino attraverso il deserto
senza paura perché si è comunque in buona compagnia se: “…nessuno può venire a
me se non lo attira il Padre che mi ha mandato…Io sono il pane della vita…io
sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.” (dal
Vangelo di Giovanni).
Ad
Elia fu sufficiente una focaccia ed un orcio d’acqua, noi, invece, siamo dei
privilegiati perché ci viene dato il pane della vita. Anche oggi, infatti,
possiamo approvvigionarci per il nostro cammino sapendo che l’energia che ne
ricaveremo dovrà essere spesa non solo per le nostre gambe. Dobbiamo trasformarci,
infatti, in brave guide pronte ad aiutare chi è in difficoltà, chi è all’inizio
del percorso, perché non sia loro impedito gustare della bellezza del mondo,
della vita. Quel pane non è cibo che non dura, come si diceva domenica scorsa,
è la carne del Sacrificio di Gesù Cristo: “…che io darò per la vita del mondo.”
L’ha
promesso e lo farà, lo fa. Per questo non temiamo di non avere tempo necessario
per arrivare, noi per primi, al monte Oreb, perché il mondo vivrà per sempre in
Lui e noi siamo del mondo.
1Re
19,4-8 / Sal 33(34) / Ef 4,30-5,2 / Gv 6,41-51
digiemme