DIARIO DI UN PELLEGRINO:SANTO DOMINGO DE LA CALZADA – BELORADO 06/08/2009 DECIMA TAPPA : KM. 23 – H. 6,30

“Prepara i tuoi sandali per il cammino attraverso il deserto.
La polvere delle strade si alza e copre il volto che cammina.
I capelli si impiastrano di polvere e sudore, gli occhi sono arrossati, ardenti per la luce abbagliante, le gambe gonfie, il corpo è rotto per la stanchezza, la mente si perde nei pensieri, le emozioni si accavallano.
Questa è la figura degli uomini che percorrono i sentieri della terra.
Vedendosi alla fine della strada, scopriranno che le vesti sporche si sono trasformate in manto di luce; che i capelli impastati son fluenti chiome di felicità e il limite di ogni menomazione compensa abbondantemente delle fatiche sopportate perché quello è il loro “Cammino”.
Eccoci all’inizio del “secondo tempo” del nostro Cammino.
Ripartiamo da dove avevamo abbandonato l’anno scorso. Alle 7,00 siamo già in periferia di Santo Domingo. Il cielo è coperto e fa fresco fino a quando imbocchiamo una larga strada sterrata ben indicata dalle amiche frecce gialle. Con un piacevole saliscendi giungiamo al primo paese che si chiama Granon.
Ci fermiamo per fare colazione, ma non ci sono bar, solo una bottega, piccola, angusta, ricavata in un seminterrato di una semplice abitazione affacciata sulla piazza del paese. In fila per acquistare un mega panino, una bibita, e qualcosa di caldo che poi consumiamo sugli scalini della chiesa parrocchiale dedicata a San Juan Bautista.
Mentre gustiamo quel che passa il convento, passano altri pellegrini, c’è un bel movimento. Allegro vocio, colori e zaini in ogni dove, fra portici e sagrato. Una coppia di giovani attira la nostra attenzione: indossano dei costumi strani, tipo quelli delle vallate alpine, pantaloni corti, camiciotta con bretelle per lui, ampia e lunga gonna e camicetta con ampio foulard sulle spalle per lei. Particolare curioso per il giovane che teneva con una mano un nodoso bastone e con l’altra una lanterna. Li abbiamo visti poco prima di entrare a visitare la chiesa e quando siamo usciti non c’erano già più e perciò il loro abbigliamento è rimasto per noi un mistero. Invece ci è parsa chiara la percezione dello spirito del cammino nella visita, appunto della chiesa, dove il parroco stava spiegando, quando siamo entrati, le condizioni con le quali accoglie i pellegrini nel rifugio ricavato in parte nella canonica e in parte nella struttura portante del campanile. Un ambiente unico, pulito e in ordine nella sua spartana semplicità. Accoglienza povera e anche di più. Tanto per capirci, vicino alla cassetta delle contribuzioni libere e non obbligatorie c’è un cartello che dice: “lascia quello che puoi, prendi se ne hai bisogno”. Questo è lo spirito di chi sta sul cammino.
Riprendiamo la strada, non ci vuole molto per battere tutta la via principale che ci riporta in campagna. Già è più chiaro, il sole fa capolino, e si va che è un piacere anche perché ben carburati e corroborati in “mens e corpore sani”.
Nell’andare s’incontrano un sacco di persone. Ci si affianca, si cammina insieme per lunghi tratti, si comincia a parlare, a sorridere, a farsi capire. In sintesi, si capisce che non si è soli e si può trovare compagnia nelle proprie scelte di vita, come quella del “cammino”, in “altri” che mai ti saresti immaginato, al di là della lingua e della provenienza. Qui i volti appaiono in tutta la loro bellezza, la loro pienezza. Qui esprimono la loro essenza, la loro interiorità di persona. Qui si può cominciare a vedere, veramente, l’altro come fratello in umanità, cui, per certi versi, inspiegabilmente, dai credito, fiducia, solidarietà e finanche la vita.
Ma sul cammino non ci sono solo i pellegrini. Ci sono quelli che vivono su quelle strade,che ci abitano, ci lavorano, ci spendono la loro vita. Sono persone cui guardi il volto perché i loro gesti sono quelli veri.
Come quello di un signore, un uomo in età avanzata, che ci viene incontro sulla strada bianca, appena fuori da Granon, e quando, giunto alla nostra altezza, oltre a salutarci “buenos dias”, allunga la mano per offrirci delle piccole prugne che, avevamo visto in lontananza, aveva raccolto nel suo campo. Nient’altro. Mariella mi disse, poi, che erano le prugne buone come quelle della pianta di suo nonno e da anni non ne mangiava di così buone.
Volti e gesti che evidenziano come alcuni gesti, appunto, semplici e generosi, silenziosi e quasi oblativi, illuminano l’interiorità dei volti. Dove possiamo leggervi la bontà dell’intenzione e la profondità di espressione di ogni “anima” che vive nella pienezza della sua esistenza. “Mostrami il tuo volto”, e Lui ce lo mostra con i “gesti” del Suo Vangelo. Così, possiamo fermarci a guardarlo, se vogliamo – e lo vogliamo -, senza passare oltre.
La tabellina di marcia c’impone, però, di proseguire e così, paese dopo paese, - Redecilla del Cammino ; Castildelgado ; Viloria de Rioja ; Villamayor del Rio – arriviamo a fine tappa.
A Viloria ci si passa per una breve deviazione che abbiamo intrapreso per andare a vedere la casa natale di Santo Domingo (12 maggio 1019). In realtà trattasi di un borgo con poco più di due case fra le quali vi è, semidiroccata, quella nativa del Santo, ma una vecchiarella del posto che ci aveva visto uscire dalla piccola chiesa, ci ha fatto capire che la vera casa era un’altra, quella che lei ci indicava, ancora più diroccata.
E appena dopo, ci arriva un messaggio da parte del nostro amico Enos sulla morte della sua mamma. E non sarà l’unico lutto della giornata perché a mezzogiorno veniamo a sapere che è morto il mio zio Peppino Ferlito di Chiaramonte. Naturalmente decidiamo che le preghiere della giornata saranno tutte a suffragio di questi nostri cari.
Alla fine della tappa arriviamo con un sole che ci cuoce le cervella, in un bagno di sudore, con la lingua fuori, i muscoli tirati ed il respiro ansimante.
Guardate che non esagero: eravamo in queste condizioni e tutto ciò giustifica il perché alla prima insegna di ospitalità ci siamo fermati e abbiamo preso alloggio:
Belorado – Casa Rural “Verdeancho”.
L’ambiente è confortevole, camera con proprio bagno, in pieno centro del paese, l’atmosfera è famigliare ed è quello che ci serviva per rimetterci in sesto perché proprio abbiamo pagato lo scotto del primo giorno, del peso degli zaini, del caldo e di tutto il resto che ciascuno possa immaginare.
Bisogna segnalare che oggi abbiamo lasciato la Rioja entrando in Castilla-Leon, dopo di che possiamo permetterci di visitare in lungo e in largo la cittadina prima di partecipare alla Santa Messa delle 20,00 nella Chiesa di Santa Maria che il parroco celebra a quell’ora proprio per tutti i pellegrini giunti quel giorno a Belorado.
E’ un sacerdote molto attento, pastoralmente parlando, alle necessità spirituali di noi viandanti e per questo motivo, dopo la Messa ci riunisce presso l’altare di San Giacomo per una benedizione ad hoc. E’ stato un bel momento di comunione con l’esortazione finale per un “buen camino”.
L’esito, per me, non è stato, però, subito positivo perché dopo aver trovato un “menù del dias” le cose non sono andate come speravamo. Sarà stato l’ambiente troppo opprimente per il caldo, saranno stati gli odori, ma appena servita “la paella”, non riuscivo più a deglutire, un calore assurdo per tutto il corpo, tutto girava, e via di corsa fuori, lasciando tutto l’ordinato e, per lo meno, pagato solo la metà del pattuito, verso l’albergue per capire cosa mi stava succedendo.
La famigliola ospitante preoccupata, pronta a chiamare il medico, la Mariella ancora più preoccupata capisce che è febbre e mi obbliga ad una tachipirina che in breve, mi porta ad addormentarmi come il più candido degli angioletti.
Adesso capite perché il mondo lo salveranno le donne: il sesso forte come una pappamolla si affloscia dalla fatica, l’altro sesso rimedia e conforta, addirittura, rinunciando, giocoforza, alla sua cena con nonchalance, come se niente fosse e pure ti copre, con affetto, vegliando, per una buona notte. Che così fu.
Gaetano Mercorillo