26 Ottobre 2025

 In umile preghiera

“Due uomini al tempio: uno era fariseo, l’altro pubblicano
XXXma Domenica T.O.Anno C

Entrare in una chiesa, immergersi nel silenzio, nella semi oscurità, e lasciarsi trascinare lentamente verso la piccola, tremolante rossa lucina in fondo, là in fianco all’altare principale, alzando di tanto in tanto il capo verso gli archi e le volate di cupole e transetti, verso cappelle che si susseguono, è una delle più belle esperienze spirituali che possono stravolgere certezze costruite anche a prescindere dalla religione e dalla presunta presenza di un Dio.
Come se ne esca poi, lo sa solo il Buon Dio.
Forse come il pubblicano, o come il fariseo? Ci sono storie di improvvise conversioni al riguardo, perché “chi cerca la verità sull’uomo, deve farsi padrone del suo dolore” (George Bernanos). E’ uno dei modi per tornarsene a casa giustificati, come avviene nella parabola raccontata oggi.Infatti: “…Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.” (dal Vangelo secondo Luca)
Il mondo è pieno di presuntuosi e purtroppo è pure governato da questi, ciò non toglie che possano accadere fatti e vicende personali capaci di contrastare la prepotenza della loro giustizia, come ha fatto San Paolo: “…nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto.” (dalla seconda Lettera di San Paolo Apostolo a Timoteo)
Ritrovarsi soli, circondati da incomprensioni, da odio, è il rischio che si corre quando si rimane coerenti con le proprie idee, la propria fede, il proprio mandato.
Rimanere soli dà un senso di sconfitta, di scoramento.
Però non occorre pretendere più di tanto da noi stessi. San Cesario di Arles scriveva che se “dai un soldo al povero, da Cristo ricevi il Regno, se dai un pezzo di pane ricevi la vita eterna e se dai un vestito, da Cristo ricevi la remissione dei peccati.” E’ quanto dovrebbe bastarci per continuare nella battaglia per la vita che ogni buon discepolo di Gesù deve portare avanti.
D’altra parte: “…il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato; Egli salva gli spiriti affranti” (Salmo 33) Questa certezza non minimizza la tristezza di cuore di fronte alle ingiustizie di questo mondo e ci rende oltremodo consapevoli dei nostri limiti, ma è vero che “il vaso vuoto è quello che rende il suono più ampio.” (William Shakespeare).
E’ la mia condizione, la nostra condizione?
Può essere, anzi lo è sicuramente per me, e proprio per questo non rimane che ritornare davanti a quella rossa, tremolante lucina in fondo a quella chiesa e fermarsi, certi che: “…la preghiera…non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.” (dal Libro del Siracide)
In ginocchio, dunque, a capo chino, in umile preghiera, con sincerità di cuore, riconoscendo i nostri peccati, come faceva il pubblicano, presentando le mani vuote affinché il Buon Dio voglia irrobustirle a beneficio dei suoi poveri e a conferma della sua Legge. Sapendo che non si è soli perché “chi celebra solo nel deserto è un’assemblea numerosa. Se due si uniscono per celebrare fra le rocce, miriadi sono presenti là. Se ce sono tre che si riuniscono, un quarto è fra di loro. Se ce ne sono sei o sette, dodici mila sono radunati.” (Sant’Efrem il Siro)
E’ proprio così; stiamo forti dunque, il Signore non ci lascia ritornare a casa a mani vuote. La nostra umile preghiera ha commosso, e commuove, il suo Cuore Divino e  
capace di irradiare nei nostri cuori i doni necessari per il buon vivere ed il buon servire la vita. La nostra e quella di ogni figlio di Dio Padre.
Sir 35,15b-17.20-22a  /  Sal 33(34)  /  2Tm 4,6-8.16-18  /  Lc 18,9-14
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