XXXa Domenica T.O.
Anno A
Quando riusciamo a centellinare dentro di noi
queste due parole “ti amo”, vuole dire che siamo pronti a dare la nostra stessa
vita per la persona cui le indirizziamo. Non occorre esprimerle ad alta voce,
si manifesteranno implicitamente nel rapporto che s’instaura con la persona
amata.
Nell’intensità di questo amore espresso, e
gratuitamente ricambiato, sta la mia libertà. Sembra un controsenso, ci si
lega, infatti, per sempre, ma sono le promesse che danno la forza per
affrontare la vita con serena fiducia, perché non si è più soli. Ci si sente
liberi in quanto si parte da una casa fondata sulla roccia, che mai la si vedrà
scivolare via, travolta dalle tempeste della vita. Anche se potrà sembrare, in
alcuni frangenti, che i compiti assunti falliscano, il lavoro che comprende
questi compiti non fallisce, perché l’Amore l’ha inventato Dio, perché è il
lavoro di Dio e non c’è, e non può esserci, alcun fallimento in Dio.
Vero è che ci possono stare momenti difficili,
incomprensioni, crisi, abbandoni. Subentra il canto di sirene che attira ad
altri luoghi, dove tutto appare più agevole, più facile ed appaganti i desideri
della carne, del potere, della fama. Ed allora, tutto diviene relativo, tutto
superabile, incapaci di sentire le grida di chi viene trascinato via da una
fiumana fatta di guerre, povertà, annichilimento della dignità umana.
Solo Dio rimane attento e sensibile a quelle
grida:“…quando griderà verso di me, io lo ascolterò, perché io sono pietoso.”
(dal Libro dell’Esodo)
L’essere pietoso è come anticipare l’essere
misericordioso, perché “occorre notare che nella Sacra Scrittura la parola
“grido” significa non l’intensità della voce, ma la forza del pensiero e della
verità espressa.” (San Girolamo)
Ed esiste una sicura verità, è quella del
riconoscere in Gesù Cristo l’essenza di quella pietà, di quella misericordia,
che spinge alla conversione dei cuori, al ritorno a quella casa costruita sulla
roccia, a quella fortezza, per: “…servire il Dio vivo e vero e attendere dai
cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci
libera dall’ira che viene.” (dalla prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi).
E’ un’ira che travolge tutto, attraverso le
nefandezze degli uomini: guerra fra popoli, guerra all’uomo fin dall’inizio
della sua vita, guerra all’uomo alla fine della sua vita, guerra, dunque, alla
sua dignità.
“Libera
nos”, urliamolo, affinché la pietà di Dio scenda su di noi. E così, può essere
che: “Dio preparava il tempo attuale della giustizia. Per le nostre opere siamo
indegni della vita, ora solo per bontà di Dio ne siamo degni.” (Lettera a
Diogneto – 200d.c.)
Ora, che riascoltiamo per l’ennesima volta qual
è la sua volontà, qual è il suo primo comandamento, non possiamo più fare finta
di non capire, è categorico:“…amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore,
con tutta la tua anima e con tutta la tua mente…e il tuo prossimo come te
stesso.” (dal Vangelo secondo Matteo)
Eccolo di nuovo, il “ti amo”, non quello dei
baci, bensì quello difficile da pronunciare, da interiorizzare, quello che
trasforma una volta per tutte la vita, perché: “Gesù è morto per i peccatori: un bene ha più
valore quando è dato a chi non è degno.” (Salviano di Marsiglia).
Non so chi ne è più o meno degno fra quanti
gravitano oggi su questa terra, fra quanti conosco personalmente, buoni o
cattivi, simpatici o detestabili, ma ben so che la strada da intraprendere,
grazie alla Parola ascoltata, è ben delineata, basta saper amare, Dio e il mio
prossimo. Occorre, però, prendere la decisione di mettersi in ginocchio davanti
al tabernacolo e sentire dentro di sé quelle due parole, che salgono dal cuore,
dall’anima, dalla mente.
Il resto viene da sé, alla ripresa del ritorno
a casa, in famiglia, in comunità, sul lavoro, in amicizia, sulle strade che
ogni giorno percorriamo, con il cuore acceso da quelle due parole.Es 22,20-26 / Sal 17(18) / 1Ts 1,5c-10 / Mt 22,33-40
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