23 ottobre 2021

NON SI PUO’ TACERE

XXXa Domenica  T.O. (Anno B)

Una volta si capivano le prediche anche senza microfoni: il prete saliva sul pulpito e gridava la
sua omelia. Non perché fosse arrabbiato o volesse incutere paura ai presenti, magari anche questo, ma perché il suo dire fosse forte e chiaro. Così era la Chiesa, così le posizioni del cristiano dovevano essere, nel mondo, decise e chiare, anche se questo voleva dire andare controcorrente. Se non altro c’era il vantaggio di preparare uomini e donne “liberi e forti” nel contrapporsi alle forze del male che acceca anche gli uomini di buona volontà. Anche perché: “… egli (il sacerdote, il prete) è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezze.” (dalla Lettera agli Ebrei)
Certo che di errori, di debolezze, gli uomini di chiesa, anche noi laici, in questi ultimi 60 anni ne abbiamo commessi parecchi, con il risultato di una corsa alla diaspora senza precedenti, di uno sfilacciamento del tessuto ecclesiale davvero irreparabile. Come rimediarvi? Come poter tornare a sperare? Come? Attraverso l’ascolto della Parola: “… Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele.” (dal Libro del profeta Geremia)
Certo, è per questo che ci sono anche dei segnali confortanti. Tempo fa parlando con un vescovo di questa situazione, mi faceva capire di non preoccuparsene più di tanto. Diceva, infatti, che diverremo un “piccolo resto” ed il Signore anche e forse grazie alla testimonianza di questo minuscolo popolo, opererà la Redenzione del genere umano, e attraverso la sua prossima venuta stabilirà il suo Regno nella giustizia e nell’amore.
Lui costruirà la città di Dio, la discenderà fra gli uomini una volta per tutte e l’abiteranno coloro che nel suo giudizio ne saranno degni. Non preoccupatevi: “… grandi cose ha fatto il Signore per noi, eravamo pieni di gioia.” (dal Salmo)
Ed allora che la gioia sia il nostro timbro del vivere, il nostro marchio di fabbrica. Inneggiamo, sistematicamente, alla vita, chiediamo al Signore di aprirci gli occhi, come quelli del cieco che stava ai margini della strada, che al suo passaggio gridava: “… Figlio di Davide abbi pietà di me …”(dal Vangelo secondo Marco)
E più gli dicevano di smettere, di non disturbare, più gridava, come succede a coloro che lottano per la vita, il diritto alla vita e che si trovano nella medesima condizione di chi “… nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare” o da preservare. Anche Guareschi fece ricorso al seme da salvare affinché con il ritorno del sole, dopo l’alluvione, si potesse “… nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.” (dal Salmo) E’ quanto succede, quando una vita viene salvata ed accolta dai suoi, magari anche con l’aiuto dei volontari per la vita. E’ quanto succede se al tramonto della vita non si viene lasciati soli, ma accompagnati, direi coccolati, dai propri cari, da chi grida sui tetti, ai margini delle strade che la vita va custodita sempre. Non lasciamo passare il Signore, non lasciamo passare la domenica, non lasciamo inutilizzato il suo sacrificio, gridiamo il suo nome, chiediamogli di perdonarci, fino a quando sentiremo dentro di noi la domanda: “… che cosa vuoi che faccia per te?”
Aprimi gli occhi Signore, scioglimi la lingua perché non debba più tacere, donami la grazia di una fede forte e chiara e la libertà di essere tuo discepolo fino alla fine.

Ger 31,7-9 / Sal 125 / Eb 5,1-6 / Mc 10,46-52
digiemme