della Passione del Signore (Anno C)
Questa è la domenica della gioia e del dolore. E’ evidente che l’entusiasmo animato dai rami d’ulivo benedetti, alti sulle nostre teste, delle palme riccamente addobbate, mette in cuore una gioia, quasi segreta, che si trasforma in soddisfazione quando si appende il ramo d’olivo sulla porta e sul quadro della Sacra Famiglia. Questo stato d’animo spinge in secondo piano tutto il racconto della Passione di nostro Signore Gesù Cristo, tanto lungo e, a volte, non ben coordinato nella lettura per l’interpretazione dei vari personaggi protagonisti nei vari passaggi del Vangelo. Tanto lungo che, spesso, l’omelia è costretta in poche battute. Ciò non toglie che una breve riflessione non possa aiutare nella comprensione e nella condivisione, lasciandosi catturare dagli episodi e dalla contemplazione di quanto ha dovuto e voluto subire Gesù Cristo per amore nostro. Come quando già inchiodato sulla croce, Gesù dice le prime parole:“…Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno…” (Vangelo di Luca)
Ho trovato questo pensiero di Enrico Impalà
che ricorda di “non dimenticarti che sarai salvato da un “ti perdono”, da un
“non ti preoccupare”, da un “ti amo”. Potresti ancora non voler capire,
chiudere ogni canale comunicativo, infastidirti per l’amore non meritato. E’
una tua scelta. Non incolpare nessun altro. Lasciati amare.”
E’ questo il problema: “lasciarsi amare”.
Oggi non riusciamo più nemmeno in questo. Oggi non si condanna più nessuno alla
crocifissione, anche se in molte parti del mondo molti nostri fratelli nella
fede subiscono il martirio in modi diversi, ancora, però, in modo cruento.
Oggi, però, si impongono, per legge, senza neppure una parvenza di processo,
delle “vie crucis” a quegli innocenti che vivono nei grembi delle loro madri. E
noi siamo come quei dottori che deridevano Gesù sotto la croce, siamo come quei
soldati che lo sfidavano a scendere dalla croce, noi siamo come quel Ponzio
Pilato che se ne lava le mani. Quei poveri crocifissi uccisi prima di nascere
con il loro grido silenzioso, sicuramente, si uniscono alla preghiera di Gesù.
Perdona perché non sanno quello che fanno. Sì sappiamo
bene che c’è ormai una completa conoscenza di ciò che si distrugge, una vita
umana, unica e irripetibile, eppure in molti non c’è la consapevolezza della
gravità di quella decisione, di quel peccato.
Il cristianesimo è una religione della
memoria. Ma non di una memoria triste, che non riesce a superare il crimine
subito da Gesù, bensì di una memoria che trasforma e ricorda il crimine con
occhi nuovi. Il crimine subito da Gesù è un crimine che redime. Che toglie i
peccati di chi compie le offese. Che si converte in un dono (per-dono)
costante. Per questo, una volta compreso che l’amore sta sulla croce si può
dire con Isaia “…il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra.”
Per questo non si può smettere un solo
istante di lottare perché l’amore della croce si diffonda sempre più fra gli
uomini:
“…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti
loderò in mezzo all’assemblea.” (dal Salmo). Concetto ben riaffermato da San
Paolo ai Filippesi: “…nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli,
sulla terra e sottoterra e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore” a
gloria di Dio Padre.”
San Paolo è cosmico e a ben ragione perché
Gesù dev’essere portato a tutto il mondo. Solo in questo modo si salverà
l’umanità, non c’è altra via. Se si perde la fede, se non si fa ciò che
l’Apostolo ha comandato, rimane solo la rovina. Papa Benedetto XVI proprio in
questi giorni lo ha riaffermato. Così come proprio in questi giorni che ci
separano dalla Santa Pasqua possiamo, ancora una volta, riattingere al perdono
del Signore, quello che viene dalla sua Croce.
digiemme
Is 50,4-7 / Sal 21(22) / Fil 2,6-11 / Lc 22,14 - 23,56