Domenica XXX T.O. (Anno B)
Nella Chiesa cattolica ha un ruolo
fondamentale la figura del sacerdote:
“…ogni sommo sacerdote, infatti, è scelto fra
gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano
Dio.” (dalla Lettera agli Ebrei)
In parole povere, il compito del sacerdote
dovrebbe essere quello di condurre i fedeli, in primis, gli uomini, in
generale, ad incontrare nella loro vita il Creatore, colui che ha donato la
vita ed ha offerta la stessa sua vita per amore loro.
Quindi non è un sociologo, uno psicologo, un
tuttologo, è colui che fa vivere in terra le cose di Dio per farle, poi, godere
per l’eternità.
Ci viene in soccorso, per sottolineare il
concetto:
“…ecco, li riconduco…e li raduno…fra loro
sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente.” (dal Libro del
Profeta Geremia)
Il sacerdote guarda i suoi e gioisce per
l’umanità che ha di fronte. Sa che incontrerà delle difficoltà, delle
opposizioni, delle infedeltà, delle delusioni, ma non demorde.
Il cieco che incontra non sarà
necessariamente il “non vedente”, è quello che si ostina a non voler vedere
dentro di sé il senso stesso della sua vita, che se ne va come una mosca cieca,
non capendo che la vita non è un gioco: a questi deve aprire gli occhi
indicandogli la strada che inizia dalla porta stretta.
Lo zoppo non sempre è l’handicappato cui la
vita ha riservato tappe negative, è pure colui che vuole fare intendere di
essere, lui, nel normale e così insegnare agli altri a camminare:
a questi deve fare vedere che la realtà è quella che si vive sotto la Legge di
Dio.
La donna incinta e la partoriente è la stessa
donna, già madre, che ha bisogno di tutto l’aiuto e le attenzioni in forza del
suo stato: ma non solo per la sua salute, perché la maternità non è una
malattia, soprattutto per il figlio che porta in seno: questi è il dono più
grande che il Creatore offre all’umanità, non vederlo e non riconoscerlo è come
volere non vedere Dio.
Ecco, se il sacerdote nel suo specifico deve
spendere la sua vita incontrando quelle persone, capiamo bene quindi:
“…chi seminerà nelle lacrime mieterà nella
gioia. Nell’andare, se ne va piangendo… ma nel tornare, viene con gioia.” (dal
Salmo 125)
Questa figura del seminatore è molto
suggestiva, quasi commovente perché per provvedere ai bisogni della famiglia,
della comunità, bisogna lavorare, rimboccarsi le maniche, soffrire e piangere,
quante volte ci è capitato, ma poi la gioia ci invade, non sappiamo neanche noi
come e perché. Lo si sperimenta quando si entra in una chiesa, quando si
concede il perdono, quando si soccorre chi è nel bisogno, quando meno te
l’aspetti una mano amica si affianca alla tua nello sforzo di risollevare chi è
caduto. Un po' come succede al cieco del Vangelo:
“…il figlio di Timeo, Bartimeo, che era
cieco, sedeva lungo la strada a mendicare…
Egli gettò via il suo mantello, balzò in
piedi e venne da Gesù…Rabbunì che io veda di nuovo.” (dal Vangelo di Marco)
Un altro cieco, dunque. Una figura singolare,
sicuramente in difficoltà nella sua vita se si trovava a mendicare, ma forse
andava a mendicare un po' d’amore e Gesù subito glielo diede. Non è forse così
che dovrebbero fare tutti i discepoli di Cristo? E in particolare, il
sacerdote?
Un cieco un poco particolare se al sentire
parlare di Gesù, getta via il suo mantello, balza in piedi e va da Gesù. Ma non
era cieco? Lo era sicuramente nel fisico, ma ancora più lo era in sé. Bastò che
passasse sulla sua strada Gesù che tutto si trasfigurasse e, con quel “Rabbunì”
detto con il cuore ritrovasse, per Grazia ricevuta, la gioia di vedere.
digiemme
Ger 31,7-9 / Sal 125(126) / Eb 5,1-6 / Mc
10,46-52