Andare in silenzio
un passo e un passo ancora
un grano e un grano ancora
un volto che accompagna
non si è più soli
e vado in silenzio ancora.
Quando ritorniamo sull’asfalto, poco prima del paese di Ages, una gigantesca
immagine del nostro antenato preistorico, non troppa simpatica, ci porge il
benvenuto. Sarebbe interessante accettare la sua ospitalità, ma urge una buona
colazione ed il profumo a distanza di una caffetteria, già aperta di buon ora,
ci spinge in quella direzione.
Ben carburati possiamo, quindi, intraprendere la salita fino ai 1060mt. slm
della sierra. E più si saliva, più si entrava nelle nuvole basse, come nebbia,
che ci isolavano come in una dimensione altra.
Non c’era anima viva, tranne trovarci ad un certo punto in mezzo ad un gregge di
pecore. Ci passavano vicini a destra e a sinistra, un po’ eravamo disorientati,
il sentiero e le frecce non s’intravedevano più, vabbè stiamo nel gregge ed in
breve giungiamo al pianoro da cui, in lontananza già si può localizzare Burgos.
Una enorme croce al centro fra le pietre attira le nostre preghiere quotidiane e
poi ci lascia andare per il ripido pendio che termina a Villabal, un paese ai
confini del mondo, questa è l’impressione che si ha nell’attraversarlo. Succede
quando si giunge in un paese dove si sa che la strada finisce e non c’è altro
collegamento se non a piedi.
Ma noi percorriamo la strada in senso inverso e perciò, dopo una sosta per un
panino ed una birra a Cardenueva Riopico, siamo alla periferia di Burgos, una
grande città, con una grande estensione industriale e commerciale. I sobborghi
di Obaneja, di Villafria, di Gamonal non attenuano l’estenuante camminare fra
capannoni e fabbriche che tanta pena porta ai pellegrini.
Anche noi siamo tentati di prendere un bus di linea per andare in centro e ad
una palina ci fermiamo e chiediamo informazioni ad un’officina vicina. Ci dicono
che ogni 10 minuti ne passa uno, ma dopo mezz’ora ne giunge solo uno con la
scritta “fuori servizio”. Perciò, dopo aver consolato due inglesi altrettanto
distrutti dalla fatica, li lasciamo e riprendiamo arrancando fra un marciapiede,
una rotonda e un semaforo, uno dopo l’altro.
Fino allo spuntare all’orizzonte delle guglie della cattedrale e di un cartello
“Carreras” Hostal, dove senza tentennare ci dirigiamo per trovare riposo alle
nostre fragili membra. In fin dei conti, sono solo 7 ore che oggi siamo sul
cammino.
Il diritto al riposo, alla ricostruzione è sacrosanto, ma con una città come
Burgos sotto i piedi come si può pensare di stare fermi più di tanto?
Raccogliamo la volontà e le energie di riserva e ci immergiamo nel minimo tour
turistico che sia degno di rispetto.
C’è da dire che già due anni prima, con gli amici del pellegrinaggio del Centro di Aiuto alla Vita, avevamo fatto breve escursione con i pulmini. Perciò sapevamo dove dovevamo andare e cosa rivedere o tralasciare per ampliare il desiderio di conoscere meglio questo importante snodo storico sul cammino che deve molto all’epopea jacopea.
Antica capitale del regno di Castiglia, Burgos è la patria del grande
condottiero “El Cid Campeador” (Rodrigo de Vivar).
Confesso che al cospetto della magnifica statua equestre di El Cid, (che
significa “Il Signore), sono rimasto in
sospeso con i pensieri che mi rinfrescavano la memoria del film con Charlton
Heston che da bambino avrò visto dieci volte al cinema dell’oratorio.
Era l’immagine giusta di eroe, di cavaliere (come anche quella di Ivanhoe) che
lotta per il bene, disposto a dare la vita per l’onore e la giustizia, che mi ha
sempre affascinato: sarà stato perché ero mingherlino e gracile, sarà stato
perché mi piaceva inseguire ideali ed intraprendere, con l’immaginazione,
imprese nobili e sempre vincenti.
Lasciando il cavaliere e ripromettendomi di leggere il famoso poema “Cantar de
Mio Cid”, passiamo sul ponte che scavalca il fiume Arlazon e attraversiamo la
“Puerta di Santa Maria” da cui si entra nella piazza della cattedrale, un
gioiello gotico senza paragoni. Si rimane a bocca aperta. Non si può non
visitarla.
Ci vuole una vita per gustarla in tutta la sua magnificenza, la sua ricchezza
artistica, la sua storia, i suoi monumenti, i suoi personaggi, le sue volte, i
suoi arredi liturgici, perciò non faccio una panoramica di quello che abbiamo
visto e toccato con mano. Cito solo per l’originalità, il crocifisso “El Santo
Cristo de Burgos”, una grande croce con un Cristo sofferente che lascia sgomenti
e come in segno di rispetto per questo dolore, dalla vita fino ai piedi le
nudità sono coperte da una veste di velluto verde. Si contempla così il Cristo
con la gonna.
Posso dire che in tutto quel “ben di Dio” si trova veramente Dio quando a sera
abbiamo partecipato alla pre-festiva delle 19,00 in un splendore spirituale
degno di un’autentica dimensione religiosa.
Per dire che anche nelle grandi chiese si può mantenere e cogliere quell’intima
partecipazione alla preghiera e alla contemplazione delle “cose” di Dio.
Fuori, tutt’attorno alla cattedrale è un dedalo di vie e piazze, di negozi, bar
e ristoranti con menù del dia e, stranamente, pochi menù del pellegrino.
Tant’è vero che per cena siamo stati attirati da una pizzeria che presentava una
pizza per noi strana: si chiama crusty-crock o qualcosa del genere. Ce l’hanno
servita in un tegamino ustionante e si poteva tagliare solo con una specie di
martello con da una parte la lama. Buona e sostanziosa, così come lo sono tutti
i vari stuzzichini che si trovano sui banconi di ogni bar: ti puoi riempire a
volontà e ti basta pagare una birra o un bicchiere di “tinto”.
Fra i negozi che ci hanno tentato, mi viene da evidenziare quelli che vendono
migliaia di tipi di caramelle, liquirizie, frutta secca e leccornie varie.
A proposito di frutta secca, ho scoperto che tenerne sempre un sacchetto a
portata di mano, mentre si cammina, risulta essere un “tigre” nel motore;
un’arachide, un’uvetta, una mandorla, una nocciolina, un cece o un anacardo, a
turno, sono scintille di energia che intervallano i momenti di stanchezza.
Ecco, anche questa giornata volge al termine, con passo lento, mano nella mano,
bamblaniamo ancora un po’ fra gente che va e viene, famigliole, giovinastri,
scafati pellegrini, guardiamo il cielo ormai stellato e pensiamo alle temute
“mesetas” che ci aspettano domani. Stiamo sereni e ci ritiriamo in pace.