IL SERVO INUTILE


XXVII del Tempo Ordinario
La parola d’ordine di oggi è:...”Accresci in noi la fede…” (Vangelo) a conferma che la fede è un dono.
Quando riceviamo un dono, lo guardiamo con curiosità e quando ne capiamo tutte le implicazioni che centrano le nostre aspettative, ne siamo immensamente felici, vorremmo che quel dono fosse “per sempre”. Assume una preziosità unica, che solo un amore vero “più di ieri, meno di domani” può sperare in una continua crescita.
Un po’ come l’amore coniugale e come l’amore filiale, non quello di oggi dove tutto è posticcio, ma come quello che ci viene dal Sacramento: dal Matrimonio per sempre, dal “Dono” della vita, prima e dopo il Battesimo, per sempre.
Che famiglia, se nelle famiglie regnasse questo tipo di dono. Che Chiesa, se questo dono regnasse in tutti i livelli della sua organizzazione.
Il Salmo suggerisce come deve essere, nella Chiesa, la parte che ci riguarda:..
”entrate: prostrati, adoriamo in ginocchio davanti al Signore, che ci ha fatto…”.
Dato per scontato questo modo di partecipare rimane l’aspetto più sociale. Ci pensa, nel darci la linea, un deciso San Paolo:...”non vergognarti, dunque, di dare testimonianza al Signore nostro…Dio, infatti, non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza.”
Ci dice “non siate timidi, siate prudenti, giusti e forti”. Solo in questo modo non possiamo vergognarci di essere cristiani. Come la giornalista della Rai che al Tg1 si presenta con il crocifisso al collo e non subisce le violente espressioni di prescrizione che le indirizzano da tutte le parti. O come quel sindaco del comune di Favria che si rifiuta di celebrare le nozze gay perché un gesto che va contro la sua coscienza di cattolico. A loro va l’ammirazione perché non temono di rendere testimonianza a Gesù Cristo.
Non abbiamo molto tempo per cominciare anche noi a fare queste cose, è ora che ci svegliamo anche noi perché come riporta il Profeta Abacuc:... “ E’ una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non smentisce, se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà.”
Allora, se ben sappiamo che c’è una scadenza anche per noi, come ci regoliamo: vivacchiamo o cambiamo registro? In che modo stiamo facendo, come servi, quello che ci spetta? Lamentandoci? Ho fatto questo, ho fatto quello e qual è la conseguenza? Stanco morto rientro e quando penso di godermi il miglior riposo, la più soddisfacente consolazione, invece, devo fare come il servo che fa quello che deve fare e non può pretendere nient’altro.
Alla fine, prendiamone atto, siamo proprio servi inutili: “…siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Vangelo).
E’ così: nessuno deve niente a noi, se pur qualcosa di buono abbiamo fatto nella nostra vita, ma al Buon Dio, è a Lui che tutto va riconosciuto. Solo quando riusciremo a distogliere dalla nostra persona ogni riconoscimento, allora veramente potremo riconoscerci in quel servo inutile, o come diceva Padre Francesco Pianzola, il nostro Beato lomellino, quel Don “niente”.
Ab 1,2-3;2,2-4 / Sal 94(95) / 2Tm 1,6-8.13-14 / Lc 17,5-10 

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