“Egli dà la forza allo stanco e moltiplica il
vigore allo spossato.
Anche
i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e
cadono,
ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono
ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano
senza
stancarsi.” (Is 40,29-31)
Ci viene prospettata una tappa come quella di ieri, con una partenza, però, da
handicap perché sperimento l’incubo di ogni pellegrino, una vescica al mio piede
destro. La Parola di Isaia mi è di consolazione e la giornata è tutta davanti a
noi.
Appena fuori da Navarrete si passa davanti al cimitero dove si può ammirare un
bel portale gotico. Un segno della croce contornato da una parte di una bella
poesia di un pellegrino, Fabio Cattaneo, è quanto ci vuole per iniziare bene:
"fermati straniero, arresta un istante il tuo passo veloce pieno di vita e geloso del mondo; getta un momento la tua ombra frettolosa sull’arida pietra riarsa dal sole; togli col tuo sguardo la polvere dei secoli che muta e pesante, bagnata dall’odio, ristagna sul vecchio sasso rovente”.Si rincontra la statale nr.120, superiamo, poi, un passaggio dove un cippo ricorda la morte di una pellegrina belga, vittima di un incidente. Sul cammino ne troveremo altri e ogni volta la tristezza ci pervaderà al pensiero che erano anche loro pellegrini “ad limina jabobi” chiamati, però, ad un altro pellegrinaggio. Ora, comunque, i tratti più compromettenti con il traffico veicolare sono stati quasi tutti messi in sicurezza. In ogni caso, per quest’oggi, preferiamo procedere con una deviazione che ci porterà al paesino di Ventosa, dove faremo colazione. E non solo. Davanti all’ingresso della chiesa situata sul poggio, al riparo dal vento, recitiamo le nostre lodi mattutine e diamo la sveglia ad un piccolo gruppo di giovani ancora appollaiati sul piazzale attorno alla loro tenda. Ce ne sono parecchi che percorrono il loro tragitto con appresso la tenda, risparmiando così ulteriormente e senza alcun vincolo organizzativo, dove vogliono fermarsi si fermano. E’ facile immaginare le controindicazioni, ma gli appassionati naturalisti non disarmano certo per così poco.
Alcune persone vengono ad aprire la chiesa nel bel mezzo della nostra preghiera,
la visitiamo e ci prepariamo mentalmente ad affrontare l’unica difficoltà della
tappa: l’Alto di San Anton.
Mentre saliamo, ci lasciamo distrarre da una serie continua di piccoli, medi,
grandi, omini di pietre che fiancheggiano il sentiero. Sono il progressivo
lavorio di tutti quei pellegrini che, in fase di sosta per alleviare la fatica,
aggiungono pietra su pietra in una sorta di condivisa riaffermazione del proprio
avvenuto passaggio. Cioè, anch’io faccio un pezzo di cammino. Mistero della
fantasia umana.
Giunti al passo, all’orizzonte già s’intravedono le rosse rocce sotto cui è
appoggiata Nayera. La discesa è veloce e abbastanza facilmente siamo già alla
periferia della città. Prima di entrarvi, su un muro di una fabbrica leggiamo:
“Polvere, fango, sole e pioggia, è il Cammino
di Santiago, e migliaia di pellegrini,
di mille anni. Pellegrino chi ti chiama? Quale
forza sconosciuta ti attrae?
Né il Campo delle stelle, né le grandi
cattedrali.
Non è la bravura navarra, né il vino dei
riojanos, né i frutti di mare galiziani,
né i campi castigliani. Pellegrino chi ti
chiama? Quale forza sconosciuta ti attrae?
Né le genti del Cammino, né le tradizioni
rurali. Non sono la storia e la cultura,
né il gallo della Calzada, né il palazzo di
Gaudì, né il castello di Ponferrada.
Tutto ciò vedo al passare, ed una gioia
vederlo, ma la voce che mi chiama
la sento nel profondo.
La forza che mi spinge, la forza che mi attrae,
non so spiegarla nemmeno io.
Solo Lui lassù lo sa!”
Bel poema, e con queste note liriche nel cuore entriamo nella città vecchia dove
cerchiamo subito una sistemazione che troviamo in un appartamento presso una
palazzina dependance di un vecchio albergo. La pulizia lascia alquanto a
desiderare, ma ci accomodiamo per il rituale riposo, dopo un fugace pasto al
sacco.
Nayera, il cui nome di origine araba significa “luogo fra le rocce” si vide
conferire il titolo di “capitale del Regno di Navarra”. Il pomeriggio lo
trascorriamo nel visitare il complesso monastico di Santa Maria la Real,
costruito a ridosso di una grotta ritenuta miracolosa. Infatti, raccontano le
cronache, mentre il tal Re era a caccia, nel seguire e cercare il suo falcone,
lo trovò in quella grotta dove - il miracolo - vide una bella immagine della
Vergine con una lampada accesa ed un prato di gigli. Rapito da “questa
chiamata”, vi fece costruire attorno il monastero e tutt’oggi vi è ancora
conservata quell’immagine sempre illuminata da una lampada. La chiesa è
notevole, ammirevole il chiostro gotico e il retablo maggiore d’influenza
barocca. Sotto la chiesa, incuneato fra le rocce vi è il Panteon Real, dove sono
sepolti gli antichi re navarri. E’ uno spettacolo, sembra d’immergersi in
un’altra dimensione.
Usciti, il sole ben scalda ed accende l’argilla della parete di rocce che
sovrasta la città. Praticamente le case sono state costruite davanti ad una
linea continua di grotte naturali oppure
scavate dall’uomo come prime abitazioni.
Mi ricorda moltissimo il mio paese di nascita, Chiaramonte Gulfi, in provincia
di Ragusa. Anche il mio fu costruito a ridosso di grotte naturali chiamate
“dammuso”. Questo ambiente era propriamente adibito al ricovero degli animali,
davanti ad esso veniva posta una stanza, con una sola porta che dava sulla via e
quella era l’abitazione per i “cristiani”. In un posto come questo io sono nato
nel lontano, lontano, lontano…
Posso dire di essere nato in una grotta, ma a differenza di Dalla, non mi
chiamarono Gesù Bambino.
Ma torniamo a Najera, girando in largo e in lungo, rilassandoci sulle rive del
fiume Najerilla, tirammo sera per il consueto “menù del dia” che però non mi ha
dato soddisfazione. A Mariella, invece sì, perché ha molto gradito i classici
spaghetti con pomodoro, cosa rara in Spagna. Nostalgia canaglia?, no solo
opportunità da segnalare per ricordare l’impareggiabile eccellenza della dieta
mediterranea.
Le luci della notte si accendono, quelle dei sogni si affievoliscono per
lasciarci andare anche nel sonno. E’ come quando vai a funghi, a fine giornata,
a letto, quando stai per addormentarti, non vedi altro che funghi. Così è sul
Cammino, non vedi altro che passo dopo passo.
Gaetano Mercorillo
Gaetano Mercorillo