Ascensione del Signore
Proviamo ad immaginare la scena:
i discepoli che pendevano dalle sue labbra e si rendono conto che lo stanno per
“perdere” dopo averlo “ritrovato”. Credevano che dopo la crocifissione tutto
fosse finito, poi quaranta giorni di felicità immensa, incomprensibile anche
per il più fiducioso, una felicità che scaturisce dal contemplarlo con occhi
nuovi, dal sentire che veramente tutto sarà nuovo, che tutto dipenderà anche da
loro. L’ascensione, la decisione di
tornare al Padre, indica, appunto, che da quel momento saranno loro, i
discepoli che Gesù si è scelto, a dover guidare i fratelli a guardare in alto,
a confidare nel Padre. Ma, ancora una volta, non saranno soli, Gesù promette la
discesa dello Spirito Santo su di loro, il dono a sigillo dell’amore sconfinato
che Dio ha per gli uomini.
Ancora, riusciamo ad immaginare i
volti di quegli uomini che vedono nello sfolgorio di luci il loro Maestro che
si alza verso l’alto, verso il cielo e guardano estasiati, sicuramente… “prostrati
davanti a Lui…e poi tornarono a Gerusalemme
con grande gioia…”.
E noi? Noi siamo capaci di
prostrarci quando ci accostiamo all’Eucaristia? Torniamo a casa, dopo la Messa,
con il cuore pieno di gioia?
Se non viviamo questa esperienza,
non solo liturgica, se non ci lasciamo trasformare e inebriare per il resto
della settimana, è meglio lasciar perdere, non prendiamoci in giro, non siamo
credibili e non riusciremo mai ad attirare altri cuori, altre persone verso
l’alto, verso quel Gesù che ascende al Padre.
Badiamo bene, gli Atti ci
ricordano “Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove,
durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il Regno”.
Ecco la base da cui partire: non
dobbiamo parlare di come potremo costruire questo nostro mondo, dobbiamo
parlare del Suo Regno. Suo è il mondo… “a Dio appartengono i poteri della
terra, Egli è l’eccelso” (Salmo), è bene non dimenticarselo. Viceversa, potremo anche
costruire ponti e passerelle, potremo continuare a proclamare ogni anno un anno
santo, ma se la gente si sentirà, così, gratificata del suo “status quo”, tanto
vale lasciar perdere e dedicarsi ad altro.
Lui ci vuole tutti nel suo Regno
e noi… “manteniamo senza vacillare, la professione della nostra speranza perché
è degno di fede Colui che ha promesso” (lettera agli Ebrei). Sì, manteniamo
alta la nostra speranza, ritorniamo a lodare Dio come i discepoli che ritornati
a Gerusalemme… “stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Vangelo).
Cristo è degno di fede nella sua
promessa: si è reso invisibile agli occhi, ma presente nel Sacramento. Nel
mistero della fede, sappiamo, quindi, riconoscerlo,
confermarlo ed adorarlo con il dovuto rispetto nell’amore verso il prossimo e
nella celebrazione liturgica. Se abbiamo cura per i bisogni di
chi ci sta vicino ed è in difficoltà, a maggior ragione abbiamo cura per il
nostro Signore che è sempre lì, nascosto, velato nel tabernacolo dell’eterno
dono: la sua vita. Quello deve essere il centro del nostro andare per il mondo,
da cui, continuamente, possiamo poi ritornare per offrire i nostri frutti e i
nostri limiti. Lui ci istruirà con lo Spirito
per quanto sarà gradito e per quanto sarà estraneo al Suo Vangelo. Ma dobbiamo
crederci e cambiare così la qualità della nostra preghiera, delle nostre
liturgie, sapendo che quando accogliamo il più piccolo dei nostri fratelli, lo
facciamo per portarlo al Suo Regno. Solo così avremo qualche
possibilità di riuscire davvero a rendere la vita, anche qui sulla terra, un
pochettino più vera, più degna, più bella. Per tutti.
Ognuno, dal momento che è stato
voluto dal Buon Dio, deve avere la possibilità di guardare in alto, riconoscere
il luogo da cui è partito e a cui può e deve ritornare. Per quanto assurdo,
dipende anche da noi.
At 1,1-11 / Sal 46(47)
/ Eb 9, 24-28;10,19-23 / Lc 24,46-53
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