20 aprile 2024

IL RECINTO

Quarta Domenica di Pasqua
Anno B


Nel prossimo mese di giugno saremo chiamati al voto per eleggere il nuovo Parlamento dell’Unione Europea. Penso che sia buona cosa parteciparvi, esprimendo così il proprio diritto di scelta politica e di scelta delle persone degne di rappresentare e realizzare principi di giustizia e di libertà.
In ogni caso, tutto ciò non basterà perché dobbiamo tenere presente quanto riferisce il Salmo:“…è meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. E’ meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti.” (dal Salmo 117(118)
E’ meglio, perciò, rifugiarsi, cioè, entrare nel recinto del Signore, che non in quello dei potenti del momento. Il primo offre cura, amore, salvezza; il secondo assicura schiavitù, disprezzo per i diritti, sfruttamento e malvagità.
Oltretutto, come credenti, ormai avvezzi ai compromessi, perderemmo anche quell’unità che deriva dall’essere quell’unico gregge il cui pastore è nostro Signore Gesù Cristo. San Cipriano lasciava scritto che: “un corpo non può perdere la sua coesione perché l’unità è indivisibile. Tutto quanto si allontana dal centro della vita non potrebbe vivere e respirare a parte, perde la sostanza della salute.”
E la sostanza è che se accettiamo il recinto impostoci a tutt’oggi dai governanti dell’Europa, ci mettiamo nelle mani di mercenari. Guardano ad un’altra umanità, dove i deboli non avranno posto e diritti. Sarà così, ancora più di oggi, per i bambini nel grembo delle loro madri, per le persone anziane malate, per i poveri che nell’altra parte del mondo non hanno da mangiare e da vestire, per quelli che si trovano a combattere una guerra non loro, per coloro che sono senza lavoro. Insomma per tutti i deboli della società: i malati, i poveri, gli insufficienti, i disagiati, gli imperfetti, gli innocenti. Ecco cosa promettono i potenti del mondo, ecco perché non bisogna confidare in loro.
Occorre, invece, ascoltare la voce del Signore che dice:“…io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle le devo guidare.” (dal Vangelo secondo Giovanni)
Che bella questa metafora del buon pastore, facilmente comprensibile per la gente di allora, ma ciò che mi commuove di più, è che Gesù nella sua parabola inserisce anche me, anche noi, quando parla delle pecore che provengono da un altro recinto che è la nostra Chiesa. Chiesa che. proprio in forza della presenza perenne di Gesù, diventa la casa. Ricordate Betlemme, “la casa del pane”, ecco la Chiesa è “la casa in cui si dispensa il corpo di Cristo, il vero pane. La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Le fasce sono il velo del Sacramento. Sotto la specie del pane e del vino c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo Sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce, ossia invisibile.” (Ilredo di Rievaulx).
Ecco cosa ci assicura il Buon Pastore, il nutrimento per la salvezza, sapendo che:“…in nessun altro c’è salvezza, non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che non siano salvati.” (dagli Atti degli Apostoli)
Perciò, se restiamo nel “recinto”, soprattutto in questi tempi burrascosi, capiremo che la “rivelazione e la fede c’insegnano non tanto a meditare in astratto il mistero di Dio come “Padre delle Misericordie”, ma a ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui.” (Papa Giovanni Paolo II) Viene, quindi, spontaneo credere che la lettera di Giovanni sia stata scritta proprio per noi, quando ci assicura con parole accorate:“…Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente.” (dalla prima Lettera di Giovanni Apostolo)
E come tali, cioè figli, nel recinto ci stiamo a pieno titolo, chiamati uno ad uno per nome, perché siamo semplicemente amati da un Padre che è creatore e amante della vita.
At 4,8-12 / Sal 117(118) / 1Gv 3,1-2 / Gv 10,11-18
digiemme