Santa Famiglia
Fuga in Egitto - Sacro Monte di Varallo Sesia |
Sembra si sia tornati indietro nel tempo
quando per raccontare la “buona novella”, la vita di Gesù e dei santi, in modo
incisivo, si usava l’arte figurativa. Infatti le chiese, dal medioevo in avanti
sono un affresco unico, ravvivate da vetrate, statue, vie crucis e simboli
vari. Tant’è, pure oggi si punta sempre più sulla forza evocativa
dell’immagine. Siamo nell’era dove la parola, il testo, le spiegazioni passano
in secondo piano, dove una testimonianza, una storia ha buona possibilità di
essere letta se veicolata da un’immagine accattivante o
sufficientemente deduttiva.
Così, per esempio, è avvenuto con quell’immagine
della natività che vede la Madonna addormentata e Giuseppe con in braccio il
neonato bambino Gesù. La prima volta che l’ho vista mi ha strappato un sorriso
di tenerezza, poi ci sono ritornato e vi ho intravisto un messaggio strano, che
non sapevo decifrare. Quel modo di presentare la Santa Famiglia mi sembrava,
volesse dire che quella famiglia non è poi tanto santa, è una famiglia come la
mia, come la tua, una coppia come tante che vive e travaglia il fatto di una
nascita come quella dei miei genitori quando sono nato nella povera stanza da
letto di casa, mia madre assistita solo dall’ostetrica del paese arrivata
all’ultimo momento. Ma non è così, non può essere così. Si torni alle classiche
rappresentazioni dove Maria è la vergine prima, durante e dopo il parto e Giuseppe
è il padre putativo capace di una virile castità perché il loro figlio è Gesù
Cristo il Verbo che si fece carne. Tutti i presepi, le natività fino a un
decennio fa rimandavano alla Santità della Famiglia di Nazaret, altro che
bambinelli neri, mangiatoie su barche e altre libere interpretazioni di un
fatto che duemila anni fa ha cambiato la storia dell’umanità. Restiamo ancorati
alla tradizione, non svalutiamo ciò che nella Chiesa ci è stato tramandato con
testimonianze, sacrifici, martirii. Se c’è una cosa che sicuramente vede
Giuseppe protagonista la possiamo riscontrare e leggere proprio nel Vangelo di
Matteo di oggi:
“…Egli si alzò, prese il bambino e sua
madre…”
Ecco, questo fatto, la sollecitudine
dell’angelo affinché velocemente partissero per l’Egitto, dimostra quella
virilità di padre e di marito da parte di Giuseppe. Rimane impressa l’azione di
prendere davvero in braccio il Bambino, per portarlo al sicuro; rimane come
scolpito il gesto di prendere la mano di Maria per aiutarla a salire sulla cavalcatura.
In quel raccontare traspare tutta l’umanità della situazione, come, nello
stesso tempo, rimane il mistero di un disegno divino che coinvolge non solo
quella famiglia, ma pure tante altre famiglie dei bambini fatti uccidere da
Erode. A noi che con fatica cerchiamo di capire, che passiamo dalla gioia della
Nascita alla tristezza della Morte dei Santi Innocenti, se sappiamo guardare a
quei fatti contemplando e pregando, a noi non resta che impostare la nostra
vita nel modo che ci indica l’Apostolo Paolo nella Lettera ai Colossesi:
“…scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi,
dunque, di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di
magnanimità.”
Siamo santi perché amati, siamo santi perché
riconosciamo che quella famiglia nel presepe prima, nella casa di Nazaret dopo,
è la Famiglia cui compararci nel vivere nella nostra famiglia, con quei
sentimenti paolini. In qualche modo sarà proprio la famiglia di ciascuno di noi
che sarà presa in braccio, soprattutto quando andrà in crisi, quando rifiuterà
la consolazione, quando tenteranno di distruggerla. Con il Salmo 128 possiamo
allora cantare “Ecco com’è benedetto l’uomo (la famiglia) che teme il Signore e
cammina nelle sue vie”.
Sir 3,2-6.12-14 / Sal 127(128) / Col 3,12-21
/ Mt 2,13-15.19-23
digiemme