Pasqua di Resurrezione
Dopo la processione con la statua del Cristo
morto per le vie del paese, si tornava a casa un po’ tristi e sconsolati. Poi,
il giorno dopo, o meglio la notte dopo, nel lettone aspettavo di sentire le
campane, liberate, suonare a festa per la risurrezione di Gesù.
Era gioia pura.
“…Questo è il giorno che ha fatto il Signore,
rallegriamoci in esso ed esultiamo… formate il corteo con rami frondosi fino
agli angoli dell’altare…Sei Tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e
ti esalto” (Salmo).
Oggi questa preghiera ispirata dal Salmo è da
vivere, oggi più che mai, come fosse la nostra ultima Pasqua, ascoltando
attentamente ciò che diceva Pietro negli Atti degli Apostoli: “… Gesù di
Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto
il potere del diavolo…e ci ha ordinato di annuncialo al popolo e di
testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti.” (Atti).
Quando celebriamo il Signore rendiamoci conto
che il suo passaggio fra gli uomini valeva allora come vale oggi. Benefica e
risana, sicuro, tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, del male,
ma è anche vero che molti non ne vogliono sapere e continuano imperterriti a
condurre la loro vita verso la perdizione, propria e purtroppo di tanti altri.
Per questo il comando di annunciare che Egli è il giudice dei vivi e dei morti
non possiamo metterlo in sordina.
“…E infatti Cristo nostra Pasqua è stato
immolato. Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito
di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.” (Prima
lettera ai Corinti).
Queste parole di Paolo sembrano scritte
proprio per noi, per le comunità cristiane, per la Chiesa cattolica, che stanno
cessando di essere lievito nuovo. C’è ancora, infatti, tanta malizia e
perversità fra le nostre mura, della casa del Signore, della casa delle
famiglie che una volta erano cristiane. Non si sa più che cosa sono queste
case, di sicuro sono sempre più lontane dall’essere come quella di Betlemme (la
casa del pane) o come quella di Nazareth. Il pane di cui ci nutriamo è sì pane
azzimo, ma se ne mangiamo in stato di peccato non vi troveremo sostentamento in
“sincerità e verità”. Anzi, sarà la nostra condanna.
Proviamo, allora, ad ascoltare con trepidante
speranza il Vangelo di Giovanni:
“…Il primo giorno della settimana, Maria di
Magdala si recò al sepolcro di mattino, quando ancora era buio e vide che la
pietra era stata tolta dal sepolcro…Allora entrò anche l’altro discepolo, che
era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.”
Una donna è la prima persona che incontra
Cristo risorto, per la logica di quei tempi era una cosa assurda, una persona
che di primo mattino, nel buio, si reca al sepolcro e sembra dirci “c’eri tu al sepolcro di Gesù?” “hai pianto le tue amare lacrime per il tuo
Gesù?” I nostri cuori sono nel buio, ma la Risurrezione, che noi ancora non
capiamo, come i discepoli d’altronde, sposta la pietra del nostro sepolcro e ci
travolge con la sua luce. Restiamo, allora, stupiti come i due discepoli che
corsero al sepolcro. Ciascuno ha la sua corsa, ciascuno ha il suo ruolo.
Giovanni arriva per primo, ma lascia il passo a Pietro, come lui uno dei primi
chiamati, ma dichiaratamente la roccia su cui Gesù ha voluto fondare la sua
Chiesa. Questo spiega la gerarchia ed il rispetto, la logica del servizio e
della guida. E’ straordinario, però, come, in ogni caso, ciascuno risponda
della sua fede in prima persona, cioè possa e debba vivere la sua Pasqua perché
toccato, anche lui, dalla vista di quei lenzuoli vuoti nel sepolcro. Giovanni,
entrò, vide e credette perché in quell’ antro di morte si era sprigionata la
vita. Una vita che supera ogni generazione. Quella corsa al sepolcro è, perciò,
anche nostra. Solo così possiamo, oggi, sperare di uscire dal nostro antro di
morte e lasciarci travolgere dall’amore che salva, che asciuga le lacrime amare
trasformandole in gocce di gioia.
E’ la Pasqua del Signore, è il giorno della
Gioia.
At 10,34°.37-41 / Sal 117(118) / 1Cor 5,6b-8 / Gv
20,1-9
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