Seconda Domenica di Avvento
Oggi
appare sulla scena Giovanni Battista, il cugino di Gesù, colui, che al sentirne
la vicinanza, già nel grembo di sua madre Elisabetta, esultò di gioia. Due bimbi
che s’incontrano per la prima ed unica volta ancora prima di nascere.
Un
incontro fondamentale per il precursore Giovanni, che prepara la strada alla
venuta fra la gente del Messia: “…già la scure è posta alla radice degli
alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel
fuoco…” (Vangelo).
Giovanni
non teme, vive nel deserto, ma sa bene ciò che alberga nei cuori degli uomini e
li invita a cambiare vita, battezzandoli nell’acqua. Non teme i potenti, urla
pubblicamente l’invito a convertirsi, a rinunciare alla condizione di peccato,
perché è giunto il momento di tagliare alla radice il male.
A
lui non interessa che frutto viene dall’albero, solo vuole che sia buono; non
basta, quindi, produrre qualcosa, occorre che sia gradito a Dio, viceversa si
taglia, si giudica il sapore e se permane cattivo, non solo i rami, ma pure la
radice sarà tagliata e gettato il tutto nel fuoco. E’ chiaro.
E,
pure, giusto, lo dice anche il profeta Isaia: “…non giudicherà secondo le
apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire, ma giudicherà con
giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra…”
In
questo passo del profeta c’è un suggerimento per non fare la fine di essere
tagliato e gettato nel fuoco: l’umiltà, soprattutto nei confronti del Buon Dio.
Il
Salmo lo ribadisce: “…tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le
genti…si preghi sempre per lui, sia benedetto ogni giorno”.
San
Paolo, poi nella Lettera ai Romani, trova conferma a ragion veduta nell’esempio
di vita di Gesù Cristo: “…teniamo viva la speranza. Il Dio della perseveranza e
della consolazione ci conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi
sentimenti, sull’esempio di Gesù Cristo…accoglietevi, perciò, gli uni gli altri
come anche Cristo accolse voi…”.
Ascoltate
le parole che sono associate a Dio: “perseveranza” e “consolazione”. Non è
immaginazione o auspicio, è ciò che Gesù Cristo con la sua vita terrena ci ha
trasmesso: avere fiducia in lui e perseverare nella fede. Detto questo,
sappiamo che per tale motivo potresti essere allontanato, deriso, combattuto e
spesso non troverai neppure dove appoggiare il capo, proprio ed anche nella tua
casa, nella tua famiglia, nella chiesa. E’ così, lo sai e sopporti solo in
forza della consolazione che viene dalla presenza continua di Gesù Cristo a
fianco di te. A volte ti prende addirittura in braccio, anche se tu non te ne
accorgi.
Certo
bisogna avere i suoi stessi sentimenti e saperlo accogliere ogni giorno nella
tua vita senza stancarti mai di cercarlo e di lasciarti cercare.
Sappiamo
dove trovarlo: nell’Eucaristia, nel Santissimo Sacramento dell’Altare, nel
Tabernacolo, il cuore di ogni chiesa. Quale desolazione quando entrando in una
chiesa si fa fatica a trovare il Tabernacolo. Che obbrobrio. Davvero quella
chiesa e chi ne ha cura è come paglia: “…io vi battezzo nell’acqua…egli
battezzerà in Spirito Santo e fuoco…raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma
brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile” (Vangelo).
Anche
noi saremo trattati come la paglia se non saremo perseveranti nel Battesimo che
abbiamo ricevuto, eppure, vedete come ci “consola” il Battista: se solo nella
nostra vita daremo “buon frutto”, saremo raccolti come frumento nel suo eterno
granaio. E magari, invece, come frumento, in attesa di entrare nel granaio, potremmo
essere noi quel seme caduto sulla buona terra per portare tanto frutto, oppure quel
pane profumato per il salvifico sacrificio. Lasciamo che Lui faccia di noi
secondo la sua volontà. E la scure resterà abbandonata.
Is
11,1-10 / Sal 71(72) / Rm 15,4-9 / Mt
3,1-12
digiemme