XXX Domenica del T.O. Anno B
L’altro
giorno, una persona che conosco da tempo, con una situazione familiare
disastrosa, mi raccontava dell’andamento della sua vita di tutti i giorni, lamentandosi
che ogni cosa che deve affrontare si trasforma sempre in problemi su problemi.
Quasi piangente chiedeva consiglio. Cosa potevo dirle? Chiaramente, non aveva
bisogno di soluzioni per i problemi, ma di conforto, di poter sfogare la sua
amarezza, di trovare in parole amiche semi di speranza. Mi venne in soccorso
proprio il salmo di questa domenica, che in mattinata avevo avuto modo di
meditare: “…chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia…nell’andare, se ne va
piangendo, ma nel tornare, viene con gioia.” (dal Salmo 125)
Il riferimento alle condizioni difficili cui siamo sottoposti nel vivere, che
creano desolazione e incomprensioni sul significato stesso della vita, che non
permettono di vedere oltre il contingente, possono essere superate solo se
sorretti dalla fede: il salmo ci preannuncia che questo avverrà con la venuta
di Gesù.
Scriveva
San Giovanni Crisostomo: “Sappiamo che prima dell’Incarnazione e del suo abbassamento, tutto era
perduto, tutto era corrotto, ma dopo essersi umiliato, ha tutto risollevato. Ha
abolito la maledizione, ha distrutto la morte, ha aperto il paradiso, ha messo
a morte il peccato.”
In questo sta la gioia di cui canta il salmo.
Avere questa consapevolezza,
sapere che possiamo concretamente trovare consolazione e serenità di fronte al
Santissimo in una qualsiasi chiesa, trasforma la nostra vita. Anche perché in
chiesa si trovano santi sacerdoti che possono essere d’aiuto proprio perché: “…ogni
sommo sacerdote è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono
nell’ignoranza e nell’errore.” (Lettera agli Ebrei)
Ignoranza
ed errori portano inevitabilmente al peccato. Spesso, senza neanche rendersene
conto. Quella compassione, che non dovrebbe essere solo dei sacerdoti, ma di
ogni buon cristiano, può essere lo sprone per mettersi sul serio all’ascolto
della Parola. E’ la condizione principale per superare l’ignoranza. Certo, poi,
occorre viverla. Solo in questo modo ci si renderà conto che anche oggi il
Signore raccoglie il suo popolo: c“…li radunò dalle estremità della terra, fra
loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente.” (dal Libro
del profeta Geremia)
Il
Buon Dio raduna tutti quelli che hanno fede in Lui, non obbliga, ma predilige,
come si apisce dalla Lettura, coloro che sono nella sofferenza o nelle
difficoltà. Ecco perché non c’è limite all’opera di trasformazione di ogni
miseria, di ogni paura. Vale per gli handicap fisici, come vale per le mamme
che aspettano un bambino. Qualsiasi problema che una gravidanza possa portare
con sé, viene superato perché non c’è limite alla bontà di Dio. La si può
toccare con mano, la si può vivere nella gioia, perché non si è più soli. Al
punto che si dona, attraverso Gesù, come cibo affinché non erriamo nel cammino.
Anzi, è lo stesso “Gesù che si riserva di essere nostra ricompensa per trovare
gioia nella prospettiva della vita eterna.” (San Fulgenzio di Ruspe) E’ quello
che è successo a Bartimeo:“…Allora Gesù gli disse: “che cosa vuoi che io faccia
per te?” Gli rispose: Rabbunì, che io veda di nuovo.” E Gesù: “Va, la tua fede
ti ha salvato.” E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.” (dal
Vangelo secondo Marco)
Domandiamoci:
ma colui che aveva il potere di ridare la vista, non sapeva dunque cosa voleva
il cieco? Certo che lo sapeva! Ma Gesù vuole che noi gli chiediamo le cose,
anche se sa già che le chiederemo.
L’importante è capire, noi dobbiamo capirlo, se le chiederemo con fede.
Qui sta l’essenziale, credere come credeva il cieco, tant’è vero che ha usato
la confidenziale espressione Rabbunì. Quell’uomo era ripiegato sulla sua
infermità, ma la fede lo ha salvato e la sua vita è diventata tutta un’altra
cosa. Motivo per cui divenne suo discepolo, seguendolo lungo la strada, la
strada della vita.
Ger
31,7-9 / Sal 125(126 / Eb 5,1-6 / Mc 10,46-52
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