XXIXa Domenica T.O.
Anno A
Date a Dio quel che è di Dio !
Quando si viene al mondo la prima cosa che
viene fatta è dare il nome al nuovo arrivato. E si comincia subito a
vezzeggiarlo quel nome, perché l’innocenza di quel figlio è coinvolgente. Il
bimbo non conosce tutte le persone che bene o male gli stanno attorno, riesce
solo ad entrare in sintonia, attraverso il contatto diretto, corpo a corpo, con
sua madre, ed è logico e scontato. Però, anche lei è ancora una sconosciuta, come
avviene con il Buon Dio, nonostante che: “…io ti ho chiamato per nome, ti ho
dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.” (dal Libro del profeta Isaia)
E’ una chiamata che può essere captata solo nella capacità di fare silenzio dentro di noi, nel non lasciarci distrarre da tutte le sirene che assordano le nostre orecchie. Siamo tirati da destra e da sinistra, incatenati ad una poltrona davanti ad uno schermo che incanta e rimbecillisce, siamo come sotto ipnosi, ci fanno fare e pensare quello che vogliono noi si faccia, portando loro la nostra stessa esistenza. E’ così, ed è stato possibile perché, ci dice il Salmo, non:“…portate offerte ed entrate nei suoi atri” (dal Salmo 95)
Il salmista, nel suo canto, in verità esorta a portare offerte, a entrare in chiesa, ma queste, come ben sappiamo, sono sempre più deserte e conseguentemente le offerte sempre più striminzite. Infatti, pur se le opere dei credenti sono davanti agli occhi di tutti, per comodità o per strategia non le vogliono vedere. Non fa niente, anche se sono meno degli anni scorsi, non fa niente, per la gloria di Dio si continui nella testimonianza. Lui, infatti, non si stanca di chiamarci, al punto di inviarci il Figlio, a toccarci la spalla, come diceva una canzone di alcuni anni fa: “Sento la tua mano posata sulla spalla ed il tuo passo sincrono col mio…E’ bello camminare insieme a te…” Eh sì, è proprio bello, lo dice pure San Paolo, “…tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore Gesù Cristo.” (dalla prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi)
Sì, teniamo ben presenti queste condizioni, non facciamo anche noi gli ipocriti, che con la bocca affermano principi e valori, ma con le scelte di vita personale annichiliscono chi aveva dato loro fiducia e sostegno. Se non si è in grado di essere coerenti nelle piccole cose, figurarsi in quelle grandi. Dio ci liberi da tali condizioni, per non sentir dire, anche a noi: “…ipocriti, perché volete mettermi alla prova?...Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.” (dal Vangelo secondo Matteo)
Allora, proviamo a chiedere se è lecito per un cristiano condividere una legge di Cesare come quella sull’aborto, sapendo che quella legalizza l’uccisione di un essere umano. Ipocriti, certo che no! Lasciamo a Cesare quel che è solamente suo, cioè la dissoluzione del suo Stato, e ci impegniamo “ad edificare una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata e la vita di tutti sia difesa e promossa.” (Evangelium Vitae n.90)
E’ questo uno dei modi per dare a Dio quanto è suo. D’altronde: “lo spirito umano non saprebbe stare troppo tempo senza pensieri. Se non si occupa delle cose di Dio, resta fatalmente preso da ciò che ha appreso in precedenza, una china irresistibile lo attira verso di cui si è intriso fin dalla prima infanzia.” (San Giovanni Cassiano)
Meglio, perciò, essere attirati dal silenzio, dove potremo nitidamente sentire quella chiamata per nome. Il proprio nome.
Is 45,1.4-6 / Sal 95(96) / 1Ts 1,1-5 / Mt 22,15-21
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