LE TRIBOLAZIONI
Quinta Domenica di Pasqua
Anno C
Che
fare di fronte a queste situazioni? Che per certi versi ci sono lontane,
quando, poi, in verità, anche noi siamo trascinati in quelle tribolazioni che
abbracciano l’inquietudine, il senso d’inutilità della propria esistenza,
finanche di povertà economica, ma pure spirituale e morale. Ci si rifugia nella
preghiera, nell’elemosina come forma di condivisione e si spera che il Buon Dio
mandi specifici aiuti, visto come lo descrive il salmista:“…buono è il Signore
verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.” (dal Salmo 144)
E’ evidente che quella tenerezza, quella bontà di Dio, si possono contemplare
nella sua volontà creatrice e amante della vita, chiamando, però, l’uomo alla
piena corresponsabilità. E’ bella l’espressione sulla tenerezza, ci fa un sacco
di piacere quando capita di sperimentarla in famiglia o con degli amici, in
particolare nei momenti di debolezza o di sconforto. Eppure, mi sovviene un
pensiero che non lascia scampo: perché mai, mi domando, quella tenerezza non si
estende, oggi, ai bambini nel grembo delle loro mamme? Possibile che questa
umanità non capisca l’assurdità di questa scelta contro l’Amore, scelta che
preclude ogni diritto, bloccando ogni aspirazione ad una vera giustizia e pace?
Interrogativi che, solo per fede, trovano risposta in:“…ecco la tenda di Dio
con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed Egli sarà
il Dio con loro, il loro Dio.” (dal Libro dell’Apocalisse).
Perciò,
è in quella tenda, che è la Chiesa, che gli uomini potranno ritornare a gustare
pienamente quella tenerezza di Padre (e di Madre, per come si esprimeva papa
Giovanni Paolo I), oltre al dono del Figlio, quale sigillo perenne di salvezza
per ogni sua creatura. Viceversa, “una delle maggiori tragedie umane della
storia rimarrebbe quella per cui Colui che ha appeso l’universo sul nulla
preesistente, è stato poi appeso ad una croce.” ( John Sheen Fulton)
Ecco, allora, che da queste tragedie umane, ci
salvano la fiducia e la speranza in Gesù Cristo che ci esorta continuamente: “…vi
do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato
voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.” (dal Vangelo secondo Giovanni)
Anche qui sorge spontanea la domanda: perché è
un comandamento nuovo? Non era forse già consolidato il comandamento di amare
il prossimo come sé stesso? Credo che la differenza stia tutta nel fatto che
l’invito è nell’amare come Gesù ha amato. Cioè, fino a dare la propria vita per
l’altro, non solo per i figli, la moglie, il marito o per i propri genitori, i
propri parenti, ma per tutti coloro che Dio ama. Ed è fuori di ogni dubbio che,
fra i tanti, pur con le nostre tribolazioni, ci siamo anche noi.
At, 14,21b-27
/ Sal 144(145) / Ap
21,1-5a / Gv 13,31-33a.34-35
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