EMMAUS ANDATA E RITORNO

Terza Domenica di Pasqua
(Anno A)

I discepoli di Emmaus, col volto triste, in un tardo pomeriggio se ne tornano al loro villaggio. Una settimana prima festeggiavano, facendo corteo osannante, pronti alla gloria per il loro Re, che sicuramente avrebbe affidato loro importanti cariche. Ora, invece, scornati se ne vanno in silenzio, timorosi, delusi. E’ facile immaginare lo stato d’animo; quante volte ci siamo sentiti così, anche noi, traditi da aspettative che ci avevano entusiasmato poi rivelatesi fallimentari. Per uscirne abbiamo, poi, avuto bisogno (si ringrazi il cielo) di un amico vero, pronto a comprendere, a consigliare, a spronare (stolti e lenti di cuore), a spiegare come stanno le cose (spiegò loro), e salutarci con una forte stretta di mano o un caloroso abbraccio. I due di Emmaus, loro, in più, hanno vissuto in prima persona l’Eucaristia (benedisse e spezzò il pane) e in quel momento riconobbero Gesù. Nello stesso tempo, in quel momento non occorreva più che lo vedessero perché la Grazia della Fede nella sua presenza era ormai accolta e compresa. L’Eucaristia, la roccia su cui la Chiesa venne posta: è evidente, già alcuni giorni dopo l’ultima cena, due discepoli non presenti (almeno allo stesso tavolo) sapevano dell’offerta del corpo e del sangue di Gesù, se è vero che nello spezzare il pane lo riconobbero.
Non dimentichiamocelo, è quel cibo che li sprona a rialzarsi e velocemente ritornare a Gerusalemme, felici, illuminati per farne partecipi tutti gli altri che ancora non avevano capito. Questa di Emmaus, dopo quella raccontata dalle donne (alcune donne ci hanno sconvolto) è la seconda apparizione di Gesù, ma è sintomatico il fatto che né le donne, né i due discepoli sono pienamente creduti. E’ comprensibile, eppure il Signore non pone in essere fantastiche meraviglie che ben gli sarebbero accessibili, perché per credere, vedi il buon Tommaso, non occorre vedere. San Giovanni della Croce dice: “dove c’è abbondanza di segni e testimonianze, c’è meno merito a credere.”
San Pietro capisce ed è il primo, come sempre, a rompere gli indugi e con franchezza non esita: “…voi per mano dei pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso.” (Atti) La verità sbattuta in faccia scuote. Mi viene in mente che con lo stesso moto dovremmo dire di quanto è fatto e viene fatto con l’aborto: “è il più innocente, il più debole fra gli uomini e voi l’avete straziato, l’avete ucciso.”
Ancora Pietro ammonisce: “…comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri…in modo che la vostra fede e la vostra speranza sia rivolta a Dio.” (Prima lettera di Pietro).
In questo modo avremo la possibilità di cambiare veramente vita, avremo qualcuno cui chiedere d’istruirci, di consigliarci: “…benedico il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio animo m’istruisce, anche il mio corpo riposa al sicuro.” (Salmo).
Conformati così, anche noi chiediamo al Signore: “resta con noi perché si fa sera…”, magari cantando la famosa canzone del Gen Rosso che tanto coinvolge perché: “…allora si aprirono gli occhi…”. Anche i nostri.
Possiamo riprendere il cammino, anzi, camminano anche quei sei milioni di bambini uccisi nei grembi materni grazie all’ingiustizia legalizzata. Per questo è più che mai valido l’invito, per chi è nella possibilità, a partecipare all’imminente “settima marcia per la vita” a Roma il prossimo 20 maggio.
Sicuro, sarà un’andata e ritorno carichi di fede e di speranza rivolta a Dio.
At 2,14°.22-23 / Sal 15(16) / 1Pt 1,17-21 / Lc 24,13-35
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