4 aprile 2020

IL GREGGE DISPERSO


Domenica delle Palme (Anno A)
La morte è un dramma talmente grande che la maggior parte degli uomini lo risolve con il non pensarci mai. Ma in questi giorni di sofferenza nessuno riesce a non pensarci, tutte le notizie parlano di morti a centinaia e l’animo s’intristisce. Eppure bisogna andare avanti, bisogna avere il coraggio delle proprie azioni:
“…il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.” (dal Libro del profeta Isaia).
Non occorre essere un ministro di Dio, un religioso, basta saper cogliere quei momenti in cui non servono parole per trasmettere una forte emozione. Basta un gesto, un ricordo, una canzone, un tono di voce, un regalo di una persona che non c’è più…e subito riaffiora sulla tua bocca quel nome, Gesù Cristo, che ti dà quella sensazione d’immenso che non ti sai spiegare.
“…annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea” (dal Salmo)
Ecco, è questo il modo per tentare di uscire da quel vortice con cui la morte e il dolore cercano di attrarci per annegarci nella disperazione. Noi credenti abbiamo questo compito perché siamo i suoi discepoli, siamo quelli che abbiamo ricevuto il battesimo di vita e che l’abbiamo, magari anche solo per condizioni famigliari o sociali, confermato nella nostra vita da adulti. Ora, in questa domenica, festeggiamo con palme e rami di ulivo, in processione, la gioia dell’accoglienza di Gesù, lo guardiamo con occhi festanti, non solo nelle chiese, ma pure nelle nostre case quando vi ritorniamo felici con i rami dell’ulivo benedetto e li appendiamo sulla spalliera del letto o sulla cornice di una Madonna sulla Seggiola. Giovedì prossimo, però, siamo invitati alla celebrazione dell’ultima cena. A maggior ragione, quest’anno sarà una questione di pochi intimi, a parte chi potrà seguirla attraverso i canali di comunicazione sociale, e forse ci potrà aiutare ad entrare meglio con la mente e con il cuore in quella stanza dove si consumò, tra l’altro, il tradimento:
“…questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea.” (Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo)
Quei discepoli non capivano, erano allibiti, ma pure noi lo siamo, come adesso che non riusciamo a capire cosa ci sta capitando attorno. Eppure quella era una cena, un momento di festa che voleva celebrare la Pasqua ebraica. Fu sufficiente il passare di poche ore per vedere cosa succedette di quei discepoli, come aveva profeticamente detto Gesù. Bastarono un drappello di soldati con quattro funzionari indirizzati da Giuda per mettere paura a quei discepoli (a dire il vero Pietro un tentativo di difesa lo fece) che se la diedero a gambe in spalla. Ecco, mi viene un fremito di angoscia se penso alla situazione in cui ci troviamo noi discepoli di oggi. Qualcuno che prende la spada, sì, c’è ancora, pur se simbolica, pronto a pagare, comunque, di persona. E, comunque, il serrate le righe non c’è. Non tanto per paura, quanto per disorientamento che ci stordisce al punto di non sapere più gridare che:“…nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre.”
E’ la professione di fede essenziale del cristianesimo. Facciamola risuonare in questo nostro benedetto mondo, anche e soprattutto in questa deprimente storia che stiamo vivendo perché aveva ragione Manzoni quando scriveva; “Dio non permette mai un dolore ai suoi figli se non per preparare loro beni più grandi.”
Is 50,4-7 / Sal 21(22) / Fil 2,6-11 / Mt 26,14 - 27,66
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