19 maggio 2017

I COMANDAMENTI DELLA VITA


Sesta Domenica di Pasqua(Anno A)
Il brano della prima lettera di Pietro che ci viene proposto mi mette sempre in crisi:
“…pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi della ragione della speranza che è in voi”.
Mi obbliga ad un esame di coscienza continua. Come ho dato ragione della mia fede oggi? Ho approfittato di quella o questa occasione per parlare della speranza che viene da Gesù Cristo? Ho fatto riferimento in modo chiaro al nostro Dio, al Dio Cattolico, perché in questo io credo?
E penso a tutto quello che mi accade di giorno in giorno: il lottare per il lavoro, il donare quel poco di tempo che ti rimane per non fare cadere la speranza in chi ha difficoltà, problemi, sicuramente più grandi dei tuoi. Come la fanciulla che aspetta un bambino e non sa come venirne fuori; come il ragazzo che arriva in comunità e non sa cosa aspettarsi; come quella madre ormai al lumicino di vita da trascorrere in una casa di riposo e non riesce ad accettarne l’epilogo.

Sempre mi domando se riesco, anche solo in minima parte a trasmettere quella speranza che sento dentro di me e come vorrei essere, raccontano gli Atti degli Apostoli, come Filippo che:
“…predicava loro il Cristo…e vi fu grande gioia in quella città.”
Invece la nostra è una città triste, senza speranza. Domandiamoci perché. La storia, ormai, ci insegna che quando l’umanità si trascina nella decadenza, a ben guardare, significa che ancor prima la Chiesa ha smarrito la sua identità, non riesce più a sprigionare gioia, e non solo nella nostra misera città.
E’ una Chiesa che non sa più cantare neppure il Salmo di oggi:
“…Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode; è Lui che ci mantiene fra i viventi e non ha lasciato vacillare i nostri piedi.”
E’ una Chiesa ripiegata, che non sa più farsi riconoscere: le chiese di pietra sono sempre più vuote, i simboli non vengono più proposti con convinzione, i sacerdoti si mimetizzano, la devozione popolare derisa, il Cristo sempre più relegato in un angolo. Eppure, il Salmo ce l’ha appena ricordato, è Lui che ci mantiene fra i viventi.
Se, appena, appena, comprendessimo, veramente i nostri piedi comincerebbero a camminare in modo retto verso l’ascolto della Parola:
“…chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama…anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui…Voi, invece, mi vedrete perché io vivo e voi vivrete.” (Vangelo di Giovanni).
Dopo l’ascolto di queste Parole, di queste promesse, non è che ci rimanga altro da fare: dobbiamo solo amare Lui che è il Dio Vivente. Il bello è che veramente lo possiamo vedere ogni qualvolta lo vogliamo: nel tabernacolo, nell’ostia consacrata, nell’Eucaristia che riceviamo ogni qualvolta abbiamo accolto i suoi comandamenti.
Se, invece, ci avviciniamo alla Comunione con tutti i peccati di omissione sul fardello, e basta guardare agli ospedali dove ogni settimana vengono sterminati innocenti, con il complice silenzio di chi invece dovrebbe osservare i suoi comandamenti, allora è solo la nostra condanna.
Gesù Cristo dice che è pronto ad amarci, e con il rinnovo del Sacrificio lo dimostra e si manifesta a noi, solo che veramente gli crediamo.
Accogliamo, quindi, e osserviamo i suoi comandamenti: così vivremo.
At 8,5-8.14-17 / Sal 65(66) / 1Pt 3,15-18 / Gv 14,15-21

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