PER MOLTI

XXIXa Domenica  T.O. (Anno B)

Per molti, non “per tutti”. Una differenza non da poco, una questione che da sempre fa discutere su quale sia la giusta traduzione, su quale interpretazione dare a quel “per molti”. Intanto fra le Letture di domenica lo vediamo ripreso per due volte, cominciando con: “… il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.” (dal Libro del profeta Isaia).
Quando Gesù si caricò sulle spalle il legno fino al Calvario, dove lo aspettava il palo della croce, contemporaneamente si caricava tutti i peccati degli uomini, nessuno escluso, neppure di quelli che lo fustigavano, lo insultavano, lo deridevano e lo uccidevano, Lui, innocente, mentre lasciavano andare un mascalzone omicida.
Era evidente che il suo sacrificio non poteva nulla contro la crudele volontà di chi gli infliggeva quei tormenti, quella condanna, convinti di essere nel giusto. Quelli non potevano, perciò, essere giustificati perché coscienti del male che facevano e di cui non c’era alcun pentimento. Ora, proviamo a trasferire quella vicenda ai giorni nostri, nel momento stesso in cui si celebra l’eucaristia. In tutto il mondo migliaia di questi momenti si stanno, contemporaneamente, vivendo perché: “… Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra.” (dal Salmo).
Eppure, anche oggi, in quei momenti, tanti, molti, se ne stanno ai margini, forse anche indifferenti, di quanto accade. In quell’eucaristia Gesù rinnova il suo sacrificio, si carica dei peccati che anche noi contribuiamo ad alimentare quando chiudiamo il nostro cuore, la nostra mente, la nostra intelligenza, la nostra coscienza all’urlo di chi subisce il male. E non poniamo sufficienti barriere, non alziamo la mano come Fra Cristoforo verso i Don Rodrigo dei nostri tempi. Costoro sono sempre nelle stanze dei bottoni, fanno e disfano come vogliono, entrano a comandare anche nella Chiesa, complici pastori tiepidi, e impongono fardelli che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Non possiamo demordere perché: “… manteniamo ferma la professione di fede.” (dalla Lettera agli Ebrei).
Al riguardo siamo tosti nei confronti del mondo, senza timore annunciamo il Vangelo, non deve interessare tanto il dialogo, ma l’annuncio. Nei Vangeli non si parla di dialogo, non si sta a discutere di questo o di quello, ma con i farisei, i sadducei, i dottori della legge, gli scribi si va al nocciolo della questione: convertitevi e credete al Vangelo. Punto e basta. San Francesco non è mica andato dal sultano per dialogare con lui, l’ha sfidato, non si è convertito, amen, se ne è ritornato ad Assisi.
Sempre inneggiando a Dio, comunque, sempre servendo i più piccoli fra i suoi e fra quelli che incontrava nel suo pellegrinare, prendendo esempio da Gesù: “… anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita per molti.” (dal Vangelo secondo Marco).
Francesco non esitava ad accostarsi ai lebbrosi, ai più poveri fra i poveri e a servirli nella condivisione. Non è sufficiente come esempio? Ma pure noi abbiamo gli occhi per vedere ciò che ci sta attorno: le nuove povertà, gli omicidi seriali per non chiamarli olocausti che si effettuano con il beneplacito della legge negli ospedali pubblici. Cosa stiamo facendo per ammonire, opporci, gridare sopra i tetti quelle ingiustizie, dare la vita per loro? O ci siamo lasciati convincere a gettare un po’ d’incenso nel braciere degli dei? Ricordate? i primi martiri cristiani furono quelli che si rifiutarono di adorare altri dei.
Seguiamo il Vangelo, è difficile servire, è faticoso offrirsi, ma il Signore ci è di esempio e con lui nel cuore, (siamo fra quei molti?) nulla ci sarà impossibile.

Is 53,10-11 / Sal 32 / Eb 4,14-16 / Mc 10,35-45
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