2 agosto 2020

LA TENEREZZA DI DIO

 Domenica XVIII T.O. (Anno A)


Nessuno nasce semplicemente

per un incontro carnale, puranche sostenuto da un desiderio dell’am

ore umano, sempre nobile e necessario. Neppure si nasce per caso, oppure per destino o fatalità. La vita è semplicemente un dono di Dio. Sin dall’inizio si è iscritti nell’esistenza umana per grazia divina. E’ ovvia la cosa perché, dal momento che Dio, Creatore e principio di tutte le cose e artefice della vita dell’uomo nel modo in cui l’ha voluto, cioè composto da anima e corpo, è talmente soddisfatto che lo fa a sua immagine e somiglianza. Non lo pone al mondo come un oggetto, ma come creatura particolare, per cui tutto mette in gioco, in primis il suo essere padre, e, come ricordava Giovanni Paolo I, essere madre, e sorprendentemente, pure una tenerezza senza uguali:“…buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.” (dal Salmo).

E’ talmente buono che lascia all’uomo la libertà, non lo tiene al guinzaglio del suo paradiso, ma lo pone davanti alle sue responsabilità, per la sua esistenza e di quelli che gli vengono affidati. Scegliere, il grande potere degli uomini, scegliere fra il bene e il male, accogliere la legge naturale, come pure sganciarsi dalle regole divine per costruirne proprie ad uso e consumo del momento. Cioè allontanarsi dal principio per approdare ad uno stato condizionato solo dall’uomo stesso, ripiegato su i suoi interessi. San Paolo si domanda:
“…fratelli, chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?” (dalla Lettera ai Romani)
No, dall’amore del Signore ci separa l’autoaffermazione di sé stessi, la presunzione di poter fare da sé, l’indifferenza verso tutto ciò che è religioso, il cattivo esempio di chi dovrebbe, invece, essere testimone fedele del Vangelo di Cristo. Quest’ultimo aspetto è forse il più grave perché vuole dire che non si ascolta più la Parola, non si crede più in essa:
“…porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete.” (dal Libro del Profeta Isaia)
Se non si ascolta, viceversa, succede che si muore. Certo si può morire per le tribolazioni, per la fame, per la miseria, per le persecuzioni, per le guerre (anche di religione), ma si muore soprattutto se non ci sarà più nessuno che ci porterà a Cristo. Si rischia di perdersi, di cadere nell’indifferenza o peggio nella confusione, ma:
“…sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.” (dal Vangelo di Matteo)
La promessa di Gesù riguardo la sua Chiesa, gli inferi non prevarranno, è corroborata
dal suo atteggiamento, classicamente umano, di commuoversi, di piangere, di sorridere per le nostre povertà, per i nostri malanni. Ci prende per mano e ci guarisce. Ci guarda con tenerezza, quando gli diciamo che non siamo all’altezza, che non abbiamo da sfamare, che non riusciamo a convincere nessuno a non buttarsi via, adesso dicono che è cosa buona e giusta legalizzare il suicidio e l’eutanasia, che non riusciamo a fare capire che abortire è uccidere un essere umano, che una società senza la famiglia è destinata a scomparire. Ecco ci guarda con tenerezza e c’invita a cominciare con il poco, come quei cinque pani e due pesci, e ci dice di provvedere noi stessi nella distribuzione, non aspettiamo che siano altri. D'altronde se non ci mettiamo in gioco noi che siamo, o almeno dovremmo essere, i suoi discepoli, che altro potremmo fare se non porgere l’orecchio, ascoltarlo e…vivere, non lasciarsi vivere.

Is 55,1-3 / Sal 144(145) / Rom 8,35.37-39 / Mt 14,13-21

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