24 marzo 2018

I DISCEPOLI


Domenica delle Palme (Anno B) 
       Inizio della Settimana Santa
Quando succede di sentire la domenica “…la Messa è finita, come discepoli di Cristo, andate in pace!”, mi domando se le persone che si allontano dai banchi della chiesa e si avviano per andare a casa si rendono conto della responsabilità che li identifica. Ovviamente, a maggior ragione, la cosa vale ancora di più per i presbiteri, i diaconi, i religiosi cui dovrebbe sempre riecheggiare nei loro cuori quanto riporta il Profeta Isaia: “…il Signore mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.”
Essere discepoli vuole dire, allora, prima di tutto, vivere dell’ascolto della Parola per essere degni di saper dire una parola ai poveri, agli abbandonati, ai malati, ai moribondi e dare così loro sollievo e speranza nell’abbandono alla volontà del Signore. Con le sole forze umane, questo non è possibile, occorre chiedere e richiedere sempre nella preghiera, come nel Salmo di oggi: “…ma Tu Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.”
Ora capisco, in ogni cosa, in ogni incontro della giornata, in ogni decisione, in ogni azione, devo sempre avere sulle labbra il nome di Gesù, senza vergogna. Con semplicità, diciamo sempre che ciò che facciamo, lo facciamo nel nome di Gesù, alla luce dei suoi insegnamenti. Allora la gioia invaderà i nostri cuori, allora le nostre Messe saranno una vera Lode a Dio perché insieme facciamo nostro il Sacrificio di suo Figlio, colui che: “…dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce.” (Lettera di San Paolo ai Filippesi)
Proprio per questo nella domenica delle Palme meditiamo la Passione del Signore (quest’anno quella di Marco) e in questa logica, anziché soffermarci sull’ingresso “trionfale”, acclamato, di Gesù a Gerusalemme, mi preme evidenziare il comportamento dei discepoli nell’ora dell’angoscia, o meglio, della tristezza nell’orto del Getsèmani: “…prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni…disse loro: “la mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate…poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole.” Sembra proprio di rivivere sulla nostra pelle, nella nostra realtà quell’esperienza perché, guardiamoci bene attorno, noi cattolici da quattro soldi ci stiamo comportando come quei dormiglioni, se non peggio. Il sangue versato, il corpo straziato di Gesù ci è ormai indifferente, basta vedere le nostre Eucaristie, dove sembra di essere ad un “fai da te”.Significativo, al riguardo, che il rimprovero di Gesù s’indirizza principalmente a Pietro, di fatto confermando il ruolo assegnatoli. E’ lui, in primis, che doveva, che deve vegliare sulla sua Chiesa, custodirla nel tempo. Come sappiamo, però lo spirito, forse e non sempre nello stesso modo per ogni differente Papa, è pronto, ma la carne, cioè l’essere nel mondo, è debole. E se questo valeva e vale per i successori degli apostoli, di sicuro vale anche per tutti noi, semplici discepoli di oggi. Poveri seguaci di Gesù sballottati dalle tentazioni del mondo, che chiedono solo di non essere lasciati soli: “…venne per la terza volta e disse loro: “dormite pure e riposatevi…è venuta l’ora…” Quanta compassione in quelle parole. Quando andiamo a Messa, quando riceviamo la Comunione, ricordiamoci di quel “è venuta l’ora” per cercare, infine, di essere veramente suoi discepoli.
Is 50,4-7 / Sal 21(22) / Fil 2,6-11 / Mc 14, 1 – 15,47
Digiemme