XXII Domenica del T.O. (Anno A)
Domenica scorsa abbiamo letto il perché Gesù
Cristo abbia voluto fondare la sua Chiesa sulla roccia di Pietro e come abbia a
lui consegnato le chiavi del suo Regno. Oggi vediamo come allo stesso venga
riservato un trattamento sorprendente:
“…Pietro lo prese in disparte e si mise a
rimproverarlo dicendo. “Dio non voglia Signore; questo non ti accadrà mai. Ma
Gesù voltandosi disse a Pietro: “va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo
perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. (Vangelo di Matteo)
Pietro voleva opporsi all’idea che il suo
Signore potesse essere condannato ed ucciso e si sarebbe sicuramente opposto,
anche con la forza, per salvarlo. Eppure, il Signore lo apostrofa addirittura
“Satana”. Per il fatto che in quel modo l’apostolo ragionava secondo gli uomini
e per il fatto che in quel modo sarebbe stato di ostacolo alla missione
salvifica per tutti gli uomini di sempre da parte di Dio.
Non è cosa da poco. In quel modo di pensare
ci caschiamo un po’ tutti, dall’ultimo dei cristiani al sommo Pontefice
regnante. Quando succede, ogni volta che ragioniamo come Pietro, non facciamo
altro che togliere una pietra, un mattone, seppure forato, dall’edificio che
Gesù Cristo è venuto ad innalzare nel mondo.
Per questo, in parte capisco, interventi come
quello che ho letto recentemente di una donna che non va più in Chiesa per
colpa dei preti. Io avrei aggiunto, anche per colpa di tanti cristiani che
pensano di esserlo solo perché sono stati battezzati e compiono il minimo
indispensabile per ritenersi persone per bene. Mentre, poi, accettano tutte le
brutture possibili immaginabili. Basti pensare all’uccisione degli esseri più
innocenti nel grembo della loro madre. E’ di questi giorni che anche in Cile è
stata approvata una legge che legalizza l’aborto e la presidentessa, artefice
di questa volontà, verrà prontamente ricevuta in Vaticano, dove terrà una
relazione alla “Conferenza su clima e popolazione” promossa dalla Pontificia
Accademia delle scienze.
Eppure, San Paolo dice ai Romani:
“…non conformatevi a questo mondo, ma
lasciatevi trasformare…per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono,
a lui gradito e perfetto.”
Per certo, sappiamo che il rifiuto della vita
di ogni essere umano non è a lui gradito, non è buono e non è la sua volontà.
Anzi. Come possiamo allora chiamarci cristiani se poi avvaloriamo scelte e
pensieri che sono contro il progetto di Dio? Il peccato è grande e di questo
dovremo rendere conto personalmente nel nostro giorno di giudizio. Pensiamo
forse di essere eterni? di poter fare a meno di Lui? Lo credeva anche il
profeta Geremia:
“…mi dicevo: “non penserò più a lui, non
parlerò più in suo nome.” Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente”.
Io vorrei tanto che nel cuore di ciascuno di
noi ci fosse come un fuoco ardente. Mi basterebbe anche che solo in una piccola
percentuale di quelli battezzati ci fosse un vero fuoco ardente. Starebbe a
significare che la speranza non è morta, che la fiaccola della vita non è
spenta, che il conforto per il nostro dolore, per la nostra impotenza, non è
venuto meno. Il Salmo ce ne dà conferma:
“…quando nel mio letto di te mi ricordo e
penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di
gioia all’ombra delle tue ali.
Una preghiera che sta a significare il diurno
vivere senza dimenticarsi della presenza del Signore, discreta, ma costante,
umile, ma forte, onnisciente, potente e ampia come le ali di un’aquila che si estendono,
planando, sulle nostre debolezze.
Quel fuoco ardente, allora, è sinonimo di
esultante gioia. Spetta a noi estenderlo.
Ger
20,7-9 / Sal 62(63) / Rm 12,1-2 / Mt 16,21-27
digiemme