26 agosto 2017

LA PIETRA E L’EDIFICIO



XXI Domenica T.O. (Anno A)
Senza dubbio, le letture di questa domenica sottopongono alla nostra attenzione la dovuta e giusta
comprensione del ministero petrino.Già il primo testo ripreso da Isaia apre una prospettiva ben precisa:“Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto…Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide, se egli apre, nessuno chiuderà, se egli chiude, nessuno potrà aprire…”
Il Signore innalza, il Signore abbatte. Il capo del momento, l’unto del Signore, colui che viene chiamato a condurre il suo popolo, solo che non ottemperi ai suoi comandi, senza ombra di dubbio, verrà destituito e lo decide Lui. Perché la cura del suo popolo è la preoccupazione preziosa di un Amore che vuole essere indissolubile, unico, fecondo, che non può essere strumentalizzato a fini personali, a vanità e prestigi per la gestione del potere. Viceversa, un capo che davvero vuole essere il suo umile servitore, avrà la chiave del suo Cuore che è quella che apre alla gioia, alla fede, all’Amore, e con questo tipo di chiave in mano non ci possono essere esitazioni di sorta, se apre, deve restare aperto, se chiude, nessuno può più riaprire.
E’ quanto si ritrova in mano Pietro:
“ Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente…e io a te dico:
Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa…”(Vangelo di Matteo).
Da quel momento ogni capo, successore di Pietro, non deve far altro che proclamare Gesù Cristo, Figlio di Dio, del Dio vivente, non di qualsiasi altro dio, bensì di Dio Padre glorificato nel Figlio in unione con lo Spirito Santo.
Non ci piove, è questa la pietra dove è incisa in modo indelebile la verità su cui la Chiesa di Gesù Cristo poco alla volta è stata edificata.
Un compito immane, gravoso certo, ma sostenuto dalla destra di Dio, così come ce lo ricorda il Salmo:
“se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni la vita, contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano e la tua destra mi salva.”
Se professiamo la nostra fede con coerenza, con sincerità di intenzioni, la nostra vita sarà sempre sottoposta al rischio, alla minaccia, al disprezzo di chi non vuole che il cristianesimo sia l’anima del vivere comune, della ricerca e condivisione del bene comune. Se, invece, questo non dovesse avvenire, vorrebbe dire che ci siamo giocata la fede nel compromesso con il mondo, vuol dire che non saremo neppure più capaci di capire cosa scrive San Paolo ai Romani:
“A voi, genti, ecco cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni…”
Quanto mai attuale questo passo, se pensiamo all’abbandono della pratica religiosa del nostro mondo cattolico, se pensiamo alla desertificazione liturgica in corso, se pensiamo al futuro della Chiesa d’oggi stretta nella morsa di un ecumenismo al ribasso, di una indistinta livellazione di ogni religione, di aggressive trasformazioni demografiche, sociali e culturali.
C’è da avere, perciò, paura per la perdita della fede? Ricordate, se lo domanda anche Gesù “quando tornerò troverò ancora fede sulla terra?”. La risposta è nel Vangelo stesso quando Gesù Cristo afferma che le potenze del male non prevarranno sulla Chiesa. E se lo dice Lui, con questa certezza, mettiamoci d’impegno a fare la nostra parte di semplici mattoni, magari anche forati.
La pietra è già lì da sempre, non sempre è stata curata come si deve e chi non l’ha fatto ha subìto ciò che ricorda Isaia.
L’edificio è, ormai dai tempi della passione, morte e resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, innalzato e non ci sarà tempesta, pioggia o vento che potranno abbatterlo perché quell’edificio è la sua Chiesa e di nessun altro. Per questo possiamo ancora avere la gioia, noi suoi poveri, di abitarlo.
Is 22,19-23 / Sal 137(138) / Rm 11,13-16 / Mt 16,13-20

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