LA MISURA

Ottava Domenica del T.O.
Anno C

 


Il bello di noi uomini è che siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, così dice la Sacra Scrittura. E’ il nostro marchio, il nostro sigillo indelebile.   Nessuno lo sa ben decifrare, anche perché non sappiamo trattare la cera, perché “se la cera è troppo dura o troppo molle, all’atto dell’impressione del sigillo non ne riproduce pienamente l’immagine. Se invece si applica il sigillo quando c’è il giusto equilibrio tra le due, cioè tra durezza e morbidezza, allora la sua impronta sarà del tutto chiara e completa. Lo stesso è per la vita degli uomini”. (Sant’Anselmo d’Aosta)
In ogni caso resta il fatto che: “…come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.” (dalla prima Lettera di San Paolo ai Corinti)
Quell’essere simili, quel marchio, quel sigillo, se ben impresso nella nostra vita, sarà simile alla croce, non può essere diversamente. E’ nell’accettare di portare la nostra croce, come ci viene chiesto dal Signore se vogliamo essere suoi discepoli, che si esplica il nostro specifico rapporto con il Buon Dio. Per questo, alla fine: “…il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà”. (dal primo Libro di Samuele).
Da qualunque parte si guardi questa verità, la certezza del giudizio è debitamente relazionata al livello di fede vissuta. Infatti, “cos’è un giusto giudizio se non un giudizio di fede? Segui dunque il giudizio della fede, piuttosto che la tua esperienza, perché la fede non inganna, mentre l’esperienza può indurti in errore”. (San Bernardo di Chiaravalle).
E la vita, quella del mondo, oggi giorno induce disperatamente ad errori, a compiere, anche inconsapevolmente, peccati di ogni genere. Peccati che automaticamente, in forza della durezza di cuore e della mollezza dei costumi, allontanano da Dio, così che quell’immagine e somiglianza si sbiadisce sempre più. Nonostante tutto, il Buon Dio non cambia il suo modo di essere nei confronti dell’uomo, dimostra che: “…come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.” (dal Salmo102)
La tenerezza di un padre è inestimabile, è quella che s’intreccia con la responsabilità della cura e dell’aiuto nella crescita dei figli, però è anche quella che richiede il rispetto del rapporto di dipendenza tra padre e figlio. Così è per il Signore che sa tendere la mano, che sa avere pietà, che sa perdonare. Che sa manifestare queste condizioni proprio nella Confessione, dove quella tenerezza si esprime concretamente nelle mani del sacerdote che si tendono nell’assoluzione.  
Il parametro è sempre il medesimo: la giustizia e la reciprocità: “…date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata in grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio.” (dal Vangelo secondo Luca)
IL discorso è molto semplice, San Basilio, Padre della Chiesa, ci ha lasciato, al riguardo, questo pensiero: “Chi mai, quando arriva la stagione della mietitura riesce a riempirsi il grembo di covoni se al tempo della seminagione è rimasto in casa seduto o a dormire?” In pratica, chi, oggi, ritiene che eliminare la vita con l’aborto sia un diritto, può pretendere di aspettarsi una misura buona? La misura sarà colma e traboccante sì, ma nella stessa misura di rifiuto e sofferenza e questa sarà pesata e versata per sempre. Perciò, l’imperativo “date e vi sarà dato” rimane lì, come monito, per ciascuno di noi, per ogni peccato di omissione che pratichiamo. IL Signore, però, come ha scritto il salmista è lì, sempre pronto con la sua misericordia, con la sua tenerezza, in quel confessionale, dove la sua misura è senza limiti.
1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23  /  Sal 102(103)  /  1Cor 15,45-49  /  Lc 6,27-38
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