13 marzo 2021

LE CETRE SILENTI

IVa Domenica di Quaresima (Anno B)

Ho un’età per cui posso attingere alla memoria per ripensare ai giorni antichi. Un po’ come il popolo di Israele in esilio forzato lungo i fiumi di Babilonia. Forse che anche noi non siamo in esilio? Volontario, nel nostro caso. Nessuno ci ha imposto un cambiamento epocale, per la vita della Chiesa, come quello voluto con il Concilio degli anni sessanta. Eppure la tradizione fu messa all’angolo, la liturgia scardinata, i dogmi eclissati. Sintetizzo, perché so bene che ci sono montagne di volumi che raccontano di quei giorni, di quelle scelte, di quelle derive, però mi domando con sempre più insistenza se:
“…in quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà.” (dal Secondo Libro delle Cronache)
Se anche noi in quei giorni non abbiamo moltiplicato le nostre infedeltà, certamente, con responsabilità diverse. L’apertura al mondo, il dichiarato intento di non restare indietro rispetto al mondo da parte di molti esponenti dell’alto clero hanno determinato lo scoramento e la confusione fra il popolo, che tuttora persiste, anzi si è accentuata. Il popolo, poi, ci ha messo del suo, abbracciando in toto le offerte di un mondo senza freni, inibizioni, moralismi. Un mondo che, sostanzialmente, rigettava la morale, la Legge di Dio, quella che plasmava la Chiesa e che le permetteva di essere un potente baluardo contro le offensive miranti a distruggere la famiglia, con tutti i suoi valori correlati . E’ il popolo che ha accettato e confermato le leggi sul divorzio, sull’aborto, sull’educazione, sulla sessualità, sulla genitorialità. E’ il popolo che si dimentica di come sistematicamente viene distrutto ogni tessuto sociale, nelle case, ormai non più focolari domestici, negli ospedali, ormai ridotti ad abortifici, nelle scuole, ormai terra di nessuno e di tutti. E i risultati sono sotto i nostri occhi. Ecco cosa ha prodotto la potente stagione dei diritti sbandierata in questi ultimi sessant’anni: il deserto, ben ambientato con lo spettro di quest’ultimo anno di covid, che ci sta dando il colpo di grazia. Siamo, allora, nella medesima condizione di quel popolo che:
“…lungo i fiumi di Babilonia là sedevamo e piangevamo… Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre.” ( dal Salmo)
Davvero, come possiamo cantare nelle nostre chiese semivuote, bendati nel sorriso, distanziati, armati di gel, paurosi di ricevere Gesù, quale potenziale infettante? Davvero c’è da piangere se sacerdoti e vescovi sono ormai costretti a catechesi, a liturgie a distanza. Questo non è più annuncio, se non si fa corpo è difficile vedere nel prossimo un fratello cui dobbiamo solo offrire un aiuto, quello di tornare a Dio, di appartenere a Lui. Perché è questo il progetto di Dio per ciascuno di noi, a tal punto che:
“…Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” ( dal Vangelo di Giovanni)
E’ grazie a Gesù se possiamo ancora gustare la pienezza della comunione con il Padre. E’ grazie a Gesù se possiamo ancora sentirci figli, se possiamo contare sulla misericordia:
“…fratelli, Dio, ricco di misericordia…ci ha fatto rivivere in Cristo, per grazia siete salvati.” (dalla Lettera di San Paolo agli Efesini)
Può tornare la gioia? In questa quarta domenica di Quaresima, ci è permesso esprimerla con pienezza d’intenti, anche nella liturgia. Possiamo riprendere, allora, le cetre e innalzare i nostri canti di gioia.

2Cr 36,14-16.19-23 / Sal 136(137) / Ef 2,4-10 / Gv 3,14-21
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