13 febbraio 2021

LA MANO TESA

VIa Domenica T.O. (Anno B)
Su una vecchia lapide rinvenuta in un antico cimitero c’era scalpellato in dialetto milanese
, tradotto in italiano: “ a pretendere di accontentare tutta la gente si crepa di fatica e non si conclude niente “. Perla di saggezza popolare o solo rammarico del defunto? In ogni caso, per San Paolo non è così:“…così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse, ma la salvezza di molti.” (dalla prima Lettera ai Corinti)
Ancora una volta c’è da notare come si passa dal “tutti” al “molti”. Si era ben consapevoli delle difficoltà ad accettare la buona novella, del come sia difficile trasformare la propria vita testimoniandola nella quotidianità, al punto da portare al rammarico, all’abbandono, alla derisione, alla persecuzione. Per questo l’Apostolo insiste nel raccomandarsi a non “essere motivo di scandalo”. Giusta preoccupazione perché ben vediamo come incidono nella vita stessa della Chiesa comportamenti e scelte non conformi alla sua dottrina. Per questo c’è sempre più bisogno di santi, come, per esempio, Santa Giuseppina Bakhita (ricordata proprio alcuni giorni fa) che, con un gesto impensabile, porrà fra i suoi benefattori anche gli schiavisti che l’avevano rapita e venduta. L’incontro con Gesù le ha permesso di ripercorrere le tappe della sua vita in una logica nuova, al punto di perdonare e di pregare per coloro che le hanno fatto del male. Sa bene che altro non può fare, ma li affida al Signore affinché possano anche loro inginocchiarsi e con il Salmo recitare:
“…ho detto “confesserò al Signore le mie iniquità” e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.” (dal Salmo 31)
Purtroppo non tutti riescono a capire, a cogliere la gravità del loro agire, delle loro scelte che navigano all’interno di un mondo, di una società dove il male è reso alla stessa stregua del bene. In questa verità, l’abisso si para davanti e lascia le persone sole, combattute, depresse, come quanti sanno di aver commesso uno sbaglio, ma non trovano alcuno che sappia aiutarli e rimangono così:
“…sarà impuro finché durerà in lui il male.” (dal Libro del Levitico)
L’essere impuro era riferito ai malati di lebbra, ma il riferimento può essere esteso a tutte le condizioni di infermità dovute ai comportamenti, alle scelte di vita, al disprezzo della morale, della Legge naturale e delle leggi degli uomini. Tutto ciò significa mettersi al di fuori del contesto sociale, rinchiudersi e ripiegarsi su stessi, senza prospettive di riscatto e di rinascita. E’ la solitudine che investe chiunque si trovi a dover fare i conti con i conflitti della vita e se ne rimane sconfitti o piegati. Fino a quando non s’incontra una persona vera, come ci è data la possibilità d’incontrarla ogni qual volta entriamo in una chiesa, quel Gesù cui l’impuro può dire: “…se vuoi puoi purificarmi. Gesù ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “lo voglio, sii purificato.”
Ci sono alcune rappresentazioni del crocifisso con un braccio staccato dal legno, teso verso il basso come a voler toccare, porre la mano a quanti si fermano in contemplazione della Santa Croce. Quante volte si ripete ogni giorno quel gesto d’intimità, accompagnato da una compassione, unica, perché carezza di un Amore che abbraccia l’esistenza di tutti, anche di quelli che vengono rifiutati dai fratelli, dai genitori, dagli amici. In quella mano tesa c’è tutta la spasmodica offerta di chi si spende, fino alla morte e alla morte di croce, per la salvezza di molti, come dice San Paolo. In quell’incontro c’è pure, stando ai piedi della Croce, il pianto di chi con umiltà sa decidersi di confessare al Signore le proprie iniquità.
Lv 13,1-2.45-46 / Sal 31(32) / 1Cor 10,31-11,1 / Mc 1,40-45

digiemme