4 settembre 2020

IN MEZZO A NOI

 Domenica XXIII ma T.O. (Anno A)

Non siamo fatti per stare soli, abbiamo bisogno della socialità, senza, si è destinati alla dissoluzione, ad essere manipolati ed usati come carne da macello, come ingranaggi di un sistema finalizzato al sostentamento della classe dirigente. In questo 2020 si stanno facendo le prove generali, è evidente. Se riusciranno a fare passare come una condizione standard il distanziamento sociale, le mascherine, le app immuni e altre amenità del genere, il gioco è fatto. Eppure noi siamo come degli specchi, come delle lampade. Abbiamo bisogno di riflettere la luce degli altri, di farcene portatori, dobbiamo vivere come lampada affinché si possa essere sorgente di luce per gli altri. Mai, però, solo specchi, solo lampade: invece, uno scambiarci, un farci carico continuo, un cercare e ritrovare il desiderio permanente del cuore di tutti, l’esperienza di Dio. Certo, bisogna essere credenti e, se tali, vale quanto dice Gesù nel Vangelo di Matteo: “…perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro.”
Se solo fossimo coscienti di questa promessa quante sofferenze si sarebbero potute evitare proprio in questi tempi di crisi della Chiesa. E’ una crisi di fede. Di una Chiesa che non sa più essere lampada e neppure specchio per una società, un mondo che vuole evolversi, ma senza Dio. Tutto ciò è molto grave perché:
“…della sua morte io domanderò conto a te.” (dal libro del Profeta Ezechiele).
E’ un numero ormai infinito, quella schiera di malvagi che ammorba la terra. Ciascuno di noi sicuramente ne conosce qualcuno, ciascuno di noi deve sentirsi sollecitato dalla Parola di Dio per correggere quelle persone, in qualsiasi posto si trovino, qualunque ruolo rivestono nella società, nella Chiesa. Il linguaggio dell’Antico Testamento è duro, ma essenziale. Il Nuovo ci suggerisce, in aggiunta,  un metodo rivoluzionario:
“…la carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della legge, infatti, è la carità.” (dalla Lettera di San Paolo ai Romani).
Quindi, la carità, quella cristiana, è la dinamica che deve smuovere il compito di richiamare ai doveri di chi è comandato alla guida del popolo di Dio e di ogni società fondata secondo regole democratiche.
Ancora prima, però, della carità occorre, quando ci si trova in due o tre nel suo nome, saper pregare così: “…entrate: prostrati, adoriamo in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.” (dal Salmo 94).
Ecco, la preghiera ci permette di capire che dobbiamo tutto al Signore, perché è Lui che ci ha fatto. Addirittura Lui stesso si è fatto e si fa fragile quando si mette come neonato fra le nostre braccia. Non siamo in una terra di certezze, ma in un cammino di fiducia: ad ogni passo si rimette in gioco ogni cosa, noi ci rimettiamo in gioco. Coscienti che non esiste un “sì” una volta per tutte (tranne che quello di Maria) per le nostre debolezze, ma esiste la possibilità di essere, comunque esauditi perché:
“…se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.” (dal Vangelo di Matteo).
Bisogna, però, essere coscienti e consapevoli che ciò avverrà perché Gesù Cristo è in mezzo a noi. Cercare spiritualità senza Cristo non serve a niente è solo paganesimo. Contiamo su di Lui, sapendo che Lui conterà su di noi.

Ez 33,1.7-9 / Sal 94(95) / Rm 13,8-10 / Mt 18,16-20

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