XIII Domenica T.O. (Anno A)
In questi giorni di tristezza si assiste a
tante assurdità che c’è davvero da domandarsi se l’uomo di oggi non abbia proprio
perso il “senno” della ragione. In Europa si rinnegano le radici cristiane e si
vede dove siamo arrivati. Ben che vada la religione islamica imporrà la propria
legge, la propria cultura. Giustamente, dal loro punto di vista. In America con
la scusa della lotta al razzismo, ne stanno combinando di tutti i colori. Adesso
propongono di abbattere anche le statue di Gesù perché rappresenta il
suprematismo bianco, la Chiesa cattolica è sbeffeggiata a destra e a sinistra e
i suoi ministri tacciono. Ma forse è meglio così, è ora che a parlare siano i
veri fedeli perché il Signore non si vergogna di chiedere al suo servo:
“…Eliseo disse a Giezi, suo servo: “che cosa
si può fare per lei?” (dal Secondo Libro dei Re).
Cioè il profeta, riverito e ben trattato da
una donna ogni volta che passa da casa sua, chiede al sottoposto come può
sdebitarsi per tanta bontà. Non può avere figli, dice il servo, che sa guardare
alla realtà della coppia e della famiglia. E, come dono di Dio, il figlio venne
concepito e dato alla luce.
Curato e custodito, in famiglia e in comunità, dal
come si evolve la storia raccontata. Che ha una sua logica. E’ quella di chi
rispetta la Legge del Signore, di chi lo sa onorare, come ci racconta il salmo:
“…beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerò Signore, alla luce del tuo volto.”
Come ben sappiamo il popolo che Dio si è
scelto per parlare al mondo, Israele, non sempre seppe camminare guardando a
Lui, e questo vale anche per la sua Chiesa. E’ così che si era perso il senso
della vita, ma, come sappiamo, Dio non rinunciò alla propria creatura e mandò
suo Figlio:
“…come Cristo fu risuscitato dai morti per
mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita
nuova.” (dalla Lettera ai Romani di San Paolo)
E la Chiesa costruita sulla roccia, ben
rappresentata da Pietro, iniziò a proporre a tutti gli uomini di camminare
nella vita, con tutte le difficoltà che ben si conoscono, soprattutto in quei
tempi, ma con una meta nuova. Non l’oblio della morte, ma la luce
dell’eternità. Per fare questo, allora come oggi, c’è solo da diventare
discepoli di Cristo e guardare al suo Cammino sulla terra, al suo esempio di
vita, alla sua proposta di fratellanza, al suo invito a non aver paura, perché:
“…chi avrà tenuto per sé la propria vita, la
perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.” (dal Vangelo secondo Matteo)
Questa volta il perdere la vita non
corrisponde all’allontanamento dalla legge naturale, bensì nell’essere disposti
a mettersi in gioco nel portare al mondo la propria testimonianza cristiana. Di
più, nel dire al mondo che Dio si è fatto uomo, e che questo uomo lo possiamo
incontrare attraverso la Chiesa Cattolica Apostolica. Gesù quando disse ai suoi
discepoli quanto riportato nei Vangeli non aveva bisogno dei registratori per
non correre il rischio di cadere nel dimenticatoio, Gesù sapeva che sarebbe
stato più facile avere “fans” se avesse elogiato i farisei o i sadducei, se
avesse osannato Augusto o l’Erode del momento, eppure decise di affidarsi a
dodici persone semplici, uno poi lo tradì, perché a loro avrebbe lasciato lo
Spirito Santo e perché, sostanzialmente, si fida dei suoi servi. A noi non
rimane, allora, che lasciarci ispirare dallo Spirito, docili e gioiosi,
coerenti e battaglieri, premurosi e misericordiosi e ritroveremo sicuramente la
vita in noi, rioffrendola a chi ci sta vicino.
2Re 4,8-11.14-16a /
Sal 88(89) / Rm 6,3-4.8-11 / Mt 10,37-42
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